Siamo al quarto anno della legislatura e sin qui nessuno ha modificato la legge elettorale. La legge elettorale in vigore è una pessima legge, che ha dato cattiva prova di sé. Se cambiarla è necessario, lo è altrettanto che la nuova legge elettorale sia approvata da una larga maggioranza, almeno pari a quella che sostiene il Governo Draghi. Una riforma a stretta maggioranza, non solo ripeterebbe gli errori commessi in proposito nel recente passato, ma metterebbe a rischio lo sviluppo positivo dell’esperienza del governo in carica. Inoltre, una scelta del genere, nettamente sconsigliata dal Consiglio d’Europa, finirebbe col confermare la tendenza patologica italiana che persiste dal 2005 a modificare le regole del gioco a ridosso del voto sulla base di sondaggi e di previsioni di parte. Non esistono altri casi nei paesi democratici di così frequente ricorso a nuove leggi elettorali.

Delle due l’una: o si trova un’intesa quasi unanime o è da evitare comunque. Tanto più che un’azione di forza non potrebbe che mettere in difficoltà se non in crisi il governo Draghi. Quanto ai principi cui ispirare l’azione di riforma i referendum elettorali del 1991 e del 1993, approvati a larga maggioranza dal corpo elettorale, ne hanno espresso due fondamentali: è l’elettore che decide col voto da chi farsi governare ed è l’elettore che individua da chi farsi rappresentare. Questi principi si sono realizzati in un modello compiuto per Comuni e Regioni e con rendimenti alterni a livello nazionale, perché in questo caso si è intervenuti solo sulla legge elettorale – e non anche sulla forma di governo sancita dalla Costituzione – e perché le leggi Mattarella sono state abolite quando stavano mostrando, comunque, di funzionare. Il sistema elettorale per i Comuni e le Regioni non solo funziona bene ma è molto apprezzato dai cittadini, al punto da diventare, nella mentalità comune degli elettori, lo schema condiviso della competizione.

Quando vi saranno le condizioni politiche è da quei principi e da quel modello che bisognerà ripartire, con l’intenzione condivisa di dare al paese una legge che duri nel tempo e non rifletta solo convenienze transitorie e spesso malintese. A quei principi non corrisponde peraltro, in alcun modo, una legge proporzionale con sbarramento che non si vede come possa miracolosamente creare partiti in grado di gestirla con accordi di legislatura e che mantengano un rapporto tra voti, potere e responsabilità. L’esperienza di governi post-elettorali di questa legislatura, conclusasi con una necessaria supplenza presidenziale, è lì a dimostrarlo. Chiediamo a tutti coloro che concordano con questi due punti di principio di mandarci la loro adesione alla mail: proporzionalenograzie@gmail.com.

Carlo Fusaro, Pietro Ichino,
Claudia Mancina, Enrico Morando,
Giorgio Tonini

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