Dentro la Corte costituzionale, anche il tempo ha un valore. E il tempo lungo che la camera di consiglio della Corte ha ritenuto di dover dedicare per rispondere della richiesta di ammissibilità del referendum contro l’attuale legge elettorale presentata da otto Consigli regionali, è già in sé simbolo di un quesito complesso, che abilmente – troppo abilmente, forse – era stato costruito sul filo di una consolidata giurisprudenza della Corte in tema. A buon diritto, dunque, la decisione si è fatta attendere. E mai come in questo caso è opportuno leggere attentamente le motivazioni. In attesa, tre annotazioni.

La prima. L’inammissibilità emerge in ragione del mancato rispetto di uno dei due criteri che la Corte ha definito in tema, ossia quello relativo all’autoapplicatività della “normativa di risulta”, cioè della necessità che sia garantita a seguito del “ritaglio” referendario comunque «la costante operatività dell’organo costituzionale».

Per corrispondere a questo criterio, i promotori, nell’abrogare parzialmente il cosiddetto Rosatellum, si sono appoggiati anche su un testo differente, ossia sulla delega conferita al Governo con la legge n. 51/2019 per la ridefinizione dei collegi (approvata in attuazione della riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari). Pur essendo due normative distinte, i promotori ne hanno intravisto, dentro una ratio teleologica unitaria, anche un vantaggio pratico: evitare che l’abrogazione parziale finisse per risultare non autoapplicabile, di fronte all’assenza di una normativa che ne ridefinisse contestualmente pure i collegi uninominali. Idea sul filo del rasoio, ma argomentabile.

La Corte costituzionale, tuttavia, ha ritenuto che quei due testi – il Rosatellum e la legge n. 51/2019 – non fossero da collegare tra loro; non da ultimo perché, fin già nel suo titolo, la legge era pensata evidentemente per altro. E poi, meglio evitare precedenti di “shopping normativo”. Senza quel collegamento, è venuta meno allora la necessaria autoapplicabilità, rendendo il quesito ipso facto non ammissibile.

Il paradosso, a questo punto, potrebbe essere però l’impossibilità di promuovere un referendum abrogativo sulle leggi elettorali: tanto perché non sarebbe possibile discostarsi dal testo delle leggi elettorali che si vuole parzialmente abrogare, quanto perché ormai le leggi elettorali sono scritte dai loro autori già con l’implicita consapevolezza di dover evitare il rischio di essere abrogate.