Non ci sono dubbi, L’FDP è in un momento critico. Il risultato del 4,3% e la consecutiva esclusione dal Bundestag non indicano un semplice imprevisto, ma un segnale di una crisi che non possiamo e non dobbiamo ignorare. Era dal 2013 che non accadeva qualcosa di simile.
Per comprendere la situazione attuale dell’FDP non ci si può limitare a guardare i risultati elettorali, ma bisogna considerare anche le varie dinamiche che ne hanno influenzato il percorso politico nel corso della sua storia. Il partito ha sempre vissuto momenti altalenanti, oscillando tra fasi di grande centralità e altre di marginalità. Nel 2009, ad esempio, ottenne il 14,6%, salvo poi crollare quattro anni dopo. Questo andamento ondeggiante è parte della sua storia.

Dal 1948, l’FDP ha rappresentato il centro del pensiero liberale tedesco. Mai un partito di massa, ma un partito di idee, di principi. Ha saputo governare con la CDU, con la SPD, restando sempre fedele alla sua identità: economia di mercato, libertà individuali, meno Stato e meno tasse. Per decenni, è stato il punto di riferimento di imprenditori, professionisti, accademici. Una roccaforte contro lo statalismo, la pressione fiscale e la burocrazia soffocante. Eppure, non è bastato. Nel 2013 per la prima volta nella storia della Germania federale, l’FDP è rimasto fuori dal Parlamento. Un colpo durissimo. Questo è avvenuto a causa del significativo sbarramento al 5%, pensato per evitare un’eccessiva frammentazione politica ma che, allo stesso tempo, rende difficile la sopravvivenza dei partiti più piccoli. Sembrava la fine, e invece no: l’FDP ha resistito, ha ricostruito la sua identità, ha riconquistato il suo elettorato. Nel 2017 è tornato con un 10,7% che sapeva di rivincita. Sembrava di nuovo al centro del gioco.

Il risultato del 2025 appare come una nuova battuta d’arresto. Tuttavia, la legge elettorale tedesca, con il suo sistema di rappresentanza proporzionale, pur con una significativa soglia di sbarramento al 5%, continua quasi sempre a dare voce ai partiti minori come l’FDP. Una voce importante sia nel pre-voto, dove ognuno si presenta con il proprio volto e la propria storia, che nel post-voto caratterizzato dalla costruzione di alleanze e dal confronto politico, dove la dinamica delle coalizioni permette di mantenere un’influenza significativa sulle decisioni di governo, anche senza essere tra i partiti più grandi. Se ancora oggi, pur fuori dal Bundestag, l’FDP mantiene un peso politico e una possibilità di risalita, lo deve proprio a un sistema che garantisce rappresentanza anche alle forze minori, evitando una politica ridotta a uno scontro tra due blocchi contrapposti. Proprio come accadde dopo il 2013, la strada da seguire oggi è chiara: evitare la tentazione di rincorrere la polarizzazione estrema che oggi domina il dibattito politico tedesco ed europeo.

Perché questa vicenda interessa i liberali italiani? Perché il declino dell’FDP contiene una lezione fondamentale: il liberalismo non è un’ideologia di facile consenso, anzi forse non è neanche un’ideologia ma come hanno sostenuto certi padri del liberalismo, è un metodo. Non è il populismo che cavalca il malcontento, non è il conservatorismo che gioca sulla paura del cambiamento. È, invece, la difesa della libertà individuale, della responsabilità, del merito e della crescita economica. Ma senza radicamento sociale, senza una base elettorale solida, anche il miglior progetto politico rischia di rimanere confinato.

Se oggi i liberali italiani vogliono trarre un insegnamento dal caso tedesco, è proprio questo: non basta essere coerenti con le proprie idee, né avere un programma solido. Serve un legame forte con il paese e con quelle fasce della società che in un partito liberale vedono un punto di riferimento. Bisogna anche riflettere sul sistema elettorale: la rappresentanza politica di idee complesse e non facilmente populiste, come il liberalismo, ha bisogno di un sistema che non penalizzi i partiti che non si riconoscono in schieramenti rigidi e contrapposti.

A tutto questo si aggiunge un’altra sfida. In questi giorni, il governo russo ha inserito l’ALDE, il partito che riunisce i liberali europei, nella lista delle organizzazioni “indesiderabili”, accusandolo di essere una forza politica ostile. Ciò conferma quanto la difesa della libertà e dei principi liberali sia una battaglia più ampia, che travalica i confini nazionali e si scontra con forze che puntano a screditare e reprimere il pensiero liberale. Da oltre trent’anni non mi sento rappresentato da nessun partito italiano. Per me, la visione liberale europea è più importante di quella nazionale. L’unico partito nel quale mi identifico è l’ALDE. I liberali europei sono la mia famiglia, perché il liberalismo è una tradizione di idee, che abbraccia una visione più ampia.

L’FDP tornerà. Ha già dimostrato di saper risalire. Questo dimostra che il liberalismo, pur attraversando momenti difficili, non è destinato a scomparire. Ma deve saper evolvere, radicarsi e rispondere alle sfide del tempo. Questo è il monito che l’Italia liberale non può permettersi di ignorare.