Pronti? No, ancora no. Non è pronto il testo della legge di bilancio visto che a dodici ore dall’arrivo in aula per la discussione generale e poi il voto di fiducia, ieri pomeriggio i relatori erano avvistati nei pressi dei palazzo dei gruppi in cerca di emendamenti dati per certi e poi spariti. Ad esempio il 56.018 con cui si prevede che “la sospensione per ragioni sanitarie del pagamento dei tributi per liberi professionisti sia estesa anche a quelli contributivi e assicurativi”. Era una richiesta trasversale. C’era. È sparita. Valore circa un milione.

Così ieri pomeriggio è spuntata nuovamente l’ipotesi di un “ritorno in Commissione per correzioni tecniche”. Non è solo una questione di coperture. Mancherebbero pezzi di emendamenti tali da stravolgere il senso dell’emendamento licenziato. Cose che succedono quando si arriva al 21 dicembre e la manovra non è stata approvata neppure da un ramo del Parlamento. Quest’anno il caos però ha superato l’immaginabile. E non è “pronta” neppure Giorgia Meloni. Ieri mattina, dopo che martedì pomeriggio era intervenuta di persona per stoppare il caso del condono penale per reati tributari e fiscali, la signora Presidente del Consiglio ha rinunciato a presiedere il Consiglio dei ministri. La motivazione ufficiale è ancora quella maledetta febbre che certo il ritmo degli impegni in queste settimane non aiuta a cacciare indietro. E però gli osservatori delle cose di palazzo non possono non notare come queste indisposizioni – febbre o meno – sopraggiungano proprio quando il gioco si fa duro. È successo due settimane fa ad Alicante per il vertice Euro-Med dopo il gelo diplomatico con Macron. È successo di nuovo ieri dopo 72 ore pazzesche in commissione Bilancio in cui è successo di tutto.

Compreso che il ministro Giorgetti domenica sera abbia rimarcato agli uffici di presidenza della Camera guidati dal suo “compagno” di partito Lorenzo Fontana : “In quasi trent’anni di leggi di bilancio in Parlamento non ho mai visto tanto zelo”. Gli avevano appena chiesto di spacchettare per materia gli emendamenti del governo, un giochino che gli ha portato via almeno dodici ore. Vuoi mai che la “febbre” del premier abbia a che fare con le turbolenze nella maggioranza? In ogni caso la Presidente del Consiglio nel pomeriggio di ieri stava sicuramente meglio. Ha rinviato a oggi l’intervista serale su Rai1 con Bruno Vespa (doveva essere ieri, palinsesti Rai in confusione). Sta per volare in Iraq per salutare il contingente italiano (missione coperta, ogni orario è buono). Sempre oggi sarà alla Farnesina per il saluto al corpo diplomatico.

Ha scritto sui social un messaggio assai puntuto sulla ex App18, il bonus cultura per i diciottenni, una delle critiche che le brucia di più. “18App è stata sostituita e migliorata con due nuove misure” ha scritto su Facebook “la Carta cultura giovani e la Carta del merito. La prima riguarda un bonus per i diciottenni le cui famiglie hanno un Isee non superiore a 35.000 euro. L’altra prevede un bonus di 500 euro per chi prenderà 100 alla maturità. Con queste misure diamo valore al merito e mettiamo in campo un sistema equo per rendere più accessibile la cultura ai giovani”. Si vede che in serata la tachipirina ha fatto effetto. Per precisione e puntiglio il Mef, cioè Giorgetti, poco dopo chiarisce: “La Carta cultura per i giovani beneficia delle stesse risorse di App18”. Nessun taglio alla cultura, quindi. Messaggio per Matteo Renzi che documenta invece, il contrario. Anche perché, se fosse come dice il Mef, sarebbe solo un cambio di nome. Ogni legge di bilancio porta con sé scontri, trattative, scambi tra maggioranza e opposizioni. Litigano, discutono e poi trovano l’accordo. Anche questa volta saranno costretti a trovarlo. Ma il prezzo rischia di essere molto alto perché le divisioni sono dentro la maggioranza che, a dir la verità, non si sforza neppure troppo di camuffarle.

Colpa degli emendamenti selezionati che da 450 sono diventati meno di duecento. E delle risorse disponibili: erano stati previsti 400 milioni per i gruppi parlamentari. Ne sono rimasti 130 perché gli altri se li è presi il governo. Ma i parlamentari legano il proprio mandato proprio alla possibilità di rispondere, con la legge di bilancio, alle richieste del territorio. “Su ogni misura – racconta con amarezza un membro del governo – dal Pos ai contanti, dalle pensioni allo scudo penale per i reati tributari la maggioranza inizia che è d’accordo ma appena approfondisce il dossier si divide, si irrigidisce e non fa alcuno sforzo per ricucire. Ecco perché sono saltate molte norme”. È andata così col Pos, dove alla fine ha prevalso la linea del ministro Giorgetti rispettosa dei rilievi fatti a Bruxelles mentre Fratelli d’Italia voleva a tutti i costi levare l’obbligo. Anche solo per una cifra simbolica, “anche 10 euro” diceva qualche giorno fa il sottosegretario Fazzolari. È andata così sullo scudo penale. L’emendamento c’era, era scritto, portava la firma di tutti e tre i gruppi ma Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia se n’è uscito l’altra sera dicendo che era “la proposta di un singolo”. Cioè il viceministro Francesco Paolo Sisto di Forza Italia. Falso: “Era d’accordo anche il viceministro all’Economia Maurizio Leo di Fratelli d’Italia”.

Dare un “colpo di spugna” su reati come omessa dichiarazione dei redditi, dichiarazione infedele e omesso versamento voleva dire, nelle intenzioni dei proponenti, permettere a molte società e aziende in mora di poter tornare a lavorare. “Ripresenteremo la misura con un provvedimento ad hoc già prima della fine dell’anno” assicura una fonte di governo di Forza Italia. Ciascun partito di maggioranza potrà alla fine alzare e rivendicare alcune misure “bandiera”. A scapito però, magari, dei propri colleghi in parlamento rimasti con poche briciole. Non sono pronti. Lo slogan della campagna elettorale è già diventato un boomerang. Giorgia Meloni deve gestire una questione delicatissima che si chiama Fabio Rampelli. Il vicepresidente della Camera che ha creato e immaginato Fratelli d’Italia tanto quanto, e forse anche di più, di Crosetto e La Russa è l’unico rimasto a mani vuote. Vicepresidente della Camera era e tale è rimasto. Non un ministero, non una presidenza di Commissione. In queste ore l’ultimo schiaffo: Rampelli doveva essere il candidato naturale alla guida della regione Lazio. Meloni ha preferito Rocca. “La facevo più intelligente” ha scritto la signora Rampelli alludendo alla premier. Il tweet è stato subito rimosso ma ormai era stato captato. Difficile spiegare il perché di tanta “irriconoscenza”. Che può scavare solchi di odio difficili da colmare anche col passare del tempo. Sicuramente creano un problema nell’immediato. Come, ad esempio la febbre, ieri, di Giorgia Meloni.

La storia non cambia anche nella Lega. Tra Salvini e Giorgetti, ad esempio. I leghisti lamentano che è più di un mese che non riescono a parlare col Mef. L’altra sera in Commissione, sono entrati per ultimi, anche dopo il Pd e il Terzo Polo, a colloquio con i tecnici del ministero. E che dire del viceministro Leo, un protetto di Meloni, che Giorgetti sta lentamente mettendo ai margini avendo chiamato come consulente un ex montiano come il triburitarista veneto Enrico Zanetti? La legge di bilancio sarà approvata. Tra il 23 e il 24 alla Camera. Probabilmente il 28 al Senato. In modo che Meloni possa affrontare la conferenza stampa di fine anno con il dossier chiuso. Ma in realtà se ne saranno aperti molti altri.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.