"Investiamo nella medicina di genere"
La neuroscienziata Santuccione Chadha: “Donne la maggior parte dei pazienti con malattie del cervello e della mente, servono fondi”
“C’è molta attenzione verso la brain health ma non è mai abbastanza, dobbiamo fare sempre di più. Le ricerche mirate sul cervello delle donne potrebbero generare un ritorno pari a 250 miliardi di euro”

Ha ricevuto il premio «Avanguardia della Ricerca» agli Healthcare Awards, organizzati da Formiche ed Healthcare Policy, per il suo impegno pionieristico nel campo delle neuroscienze. Antonella Santuccione Chadha è tra le voci più autorevoli e visionarie del panorama internazionale. Con le sue ricerche ha posto le basi della medicina di genere applicata al cervello, portandola al centro del dibattito scientifico nella prevenzione, diagnosi e cura delle malattie neurodegenerative.
Durante gli Healthcare Awards le è stato conferito il premio «Avanguardia della Ricerca». Lei si sente all’avanguardia?
«Credo che il nostro progetto lo sia. Ha individuato una grande lacuna nella medicina di precisione, che deve basarsi non solo su sesso e genere, ma anche su etnia, razza e altri fattori. E, soprattutto, ha messo le donne – per le donne – al centro del cambiamento».
Ma lei, personalmente, si sente all’avanguardia?
«Se lo chiede ai miei figli, le risponderanno di no. Io mi sento una persona che si diverte a trasformare le cose, a individuare i gap, ma soprattutto le opportunità. E la medicina di precisione applicata alle neuroscienze è una grande opportunità».
E lei l’ha colta?
«Mi sento fortunata: vivo con uno scopo, una missione. Colmare il gap della salute femminile. È il lascito che spero di poter lasciare, con fierezza, quando sarà il mio momento di andarmene da questo pianeta».
Qual è stata la scoperta più importante degli ultimi anni?
«Nel campo delle neuroscienze, l’introduzione della medicina personalizzata. In oncologia esiste da almeno vent’anni, ma in neurologia ci siamo arrivati solo di recente».
Può fare un esempio concreto?
«Negli Stati Uniti è stata approvata una terapia a base di anticorpi che, iniettati nel cervello, riescono ad attraversare la barriera ematoencefalica – cosa inimmaginabile fino a poco fa – e a rimuovere le placche tossiche causate da patologie neurodegenerative. La vera rivoluzione? Quegli anticorpi agiscono su un sottogruppo specifico di pazienti: quelli con Alzheimer positivo per amiloide beta e tau. Questa è la medicina di precisione: non una terapia per tutti, ma la terapia giusta per chi ne trae reale beneficio».
C’è abbastanza attenzione verso le malattie del cervello?
«Ce n’è molta, ma mai abbastanza. Non dimentichiamo che sono tra le principali cause di mortalità e morbilità a livello globale».
Quali altri gap vanno colmati?
«L’adozione di questi approcci è ancora troppo lenta, soprattutto in Europa. L’innovazione spaventa, il regolatore spesso la frena. Siamo molto diversi dagli Stati Uniti, ma anche da Cina, Emirati, Giappone. Serve un’accelerazione normativa: ne va della salute delle persone».
C’è anche un tema infrastrutturale?
«Assolutamente. Le nostre infrastrutture sanitarie non sono ancora in grado di supportare percorsi rapidi e precisi per la diagnosi e la gestione delle malattie neurologiche e psichiatriche».
Cosa chiede alle istituzioni?
«Un contributo finanziario. Senza fondi, la rivoluzione non avverrà».
La brain health è una priorità nell’agenda politica globale?
«Sì, ma possiamo e dobbiamo fare di più. Investire nella medicina di genere e nella salute femminile non è solo un atto di giustizia sanitaria, ma anche una scelta economica: le ricerche mirate sul cervello delle donne potrebbero generare un ritorno pari a 250 miliardi di euro. Non proprio una cifra trascurabile».
Perché concentrarsi proprio sulle donne, in questo campo?
«Perché la maggior parte dei pazienti con malattie del cervello e della mente è donna. Per la depressione, l’ansia, l’emicrania si arriva all’80%; per l’Alzheimer, al 70%. Per questo mi fa sorridere quando a parlarne sono soprattutto uomini… riferendosi ad altri uomini».
Torniamo agli Healthcare Awards. La sorprende che si tengano in Abruzzo?
«No. Negli ultimi anni l’Abruzzo ha mostrato una grande leadership nel campo della salute. Non so se ci siano abbastanza fondi, ma di certo c’è la volontà. Ed è un ottimo punto di partenza».
Chi farà davvero la differenza?
«Le donne. Non “la donna”, ma il collettivo femminile che cambia il mondo».
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