La visione meloniana
La politica estera è il primo strumento di politica interna per Giorgia Meloni
Nel giorno della consacrazione dopo il rientro di Cecilia Sala in Italia, Giorgia Meloni incontra la stampa per la tradizionale conferenza stampa, con la consapevolezza di chi sa di avere il vento in poppa. Alcuni frettolosi cronisti vaticinavano un ulteriore slittamento della conferenza ma la risoluzione lampo del confronto con la repubblica islamica di Teheran ha permesso alla Premier di andare in conferenza stampa sapendo di aver realizzato un vero capolavoro politico e diplomatico. Le modalità oltre alla rapidità con la quale è stato gestito l’affaire con l’Iran e l’intermediazione con gli Stati Uniti hanno mostrato un volto dell’Italia aveva perso da tempo, quello di protagonista assoluto nelle dinamiche internazionali, capace di proteggere i propri cittadini mantenendo la schiena dritta, riuscendo a ottenere le proprie ragioni anche nei confronti degli alleati.
La vicenda di cui è stata vittima la giornalista romana si è trasformata in un manifesto su scala globale per l’Italia, anche per mettere in scena i nuovi equilibri che lentamente prendono forma e che dal 20 gennaio cristallizzeranno la nuova scala gerarchica dei rapporti bilaterali. L’asse Roma – Washington è nel segno del rapporto diretto tra Giorgia Meloni e Donald Trump, emerso anche nell’ultima conferenza stampa fiume di The Donald, dove il 47° Presidente degli Stati Uniti ha citato Giorgia Meloni e la sua visita a Palm Beach, nel linguaggio della politica, anche in quello di Trump rappresenta un messaggio indirizzato a tutti.
Al di là dei nuovi consolidati equilibri con l’amministrazione a stelle e strisce che tra pochi giorni sostituirà l’esautorato Biden, il quale ha annunciato che salterà la visita a Roma per recarsi in California dove è in corso l’emergenza incendi. Il forfait del Presidente in carica non poteva non alimentare qualche pettegolezzo su una presunta reazione stizzita, un colpo di coda dato da qualche sprazzo di lucidità per essere stato ignorato nella vicenda Sala. Una teoria, questa, che piace a chi ama sollevare zizzanie ma che cade dinanzi non all’emergenza che vive realmente la California e al fatto che l’offesa non sarebbe rivolta a Meloni, ma anche al Presidente Mattarella in quanto Capo dello Stato.
Certamente siamo in presenza di una transizione unica nel suo genere, perché se è vero che ci troviamo alle battute finali, è altresì sotto gli occhi di tutti che Biden è uscito completamente dalla scena per ragioni in parte intuibili, e poi dovute al peso notevole del suo predecessore (ora anche successore). Si va materializzando nella mente di Biden l’idea di essere stato una mera parentesi tra le due amministrazioni Trump.
A tenere banco a Roma e nella conferenza stampa della Presidente del Consiglio è la questione dei rapporti tra Meloni e Musk con riferimento alla vicenda dei satelliti Starlink. Sul punto la Premier è stata netta: “Il problema è che Elon Musk è influente e ricco o che non è di sinistra? Il problema è quando delle persone facoltose utilizzano quelle risorse per finanziare in mezzo mondo partiti, associazioni, esponenti politici per condizionare le scelte politiche degli stati nazionali, questo non lo fa Musk. Lo fa Soros”. La Presidente del Consiglio ha ribadito di non aver mai parlato di Starlink con Musk. SpaceX ha illustrato la sua strategia al governo per garantire comunicazioni sicure su temi delicate. “Interlocuzioni che noi – dice Meloni – come governo abbiamo con decine di aziende che si propongono per svariate materie”. Ha poi aggiunto Meloni che ad “oggi neanche io ho lo idee chiare, ma oggi non ci sono alternative pubbliche”. Le comunicazioni di cui si parla sono quelle con sedi diplomatiche e contingenti militari, quindi è chiaro il livello di sicurezza e protezione richiesto. Soprattutto in considerazione dei temi grami che ci si presentano all’orizzonte.
Quello che emerge oltre le domande di rito, la ricerca del pettegolezzo o le domande sui gusti televisivi della Presidente, è la politica estera che domina incontrastata nella visione meloniana. La politica estera come primo strumento di politica interna, il “Piano Mattei” come grande sfida. Qui l’annuncio che il piano sarà esteso del 2025 ad altri paesi dell’Africa: Angola Ghana, Tanzania, Senegal e Mauritania. Mentre la Françafrique lentamente scompare, l’Africa italiana prende forma nel segno della collaborazione, cooperazione e mutuo rispetto. Un progetto che vede l’Italia ad oggi come unico paese europeo con la forza, la storicità e i legami per contrastare e controbilanciare un territorio strategico e altrimenti destinato ad essere controllato da Russia e Cina. Un’area sempre più al centro delle attenzioni anche militari del nostro paese.
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