Non è che noi abbiamo l’ossessione della magistratura, e perciò ogni giorno finiamo col parlare della magistratura, e lamentarci per la sua invadenza. È che l’invadenza della magistratura ha superato ogni possibile limite di ragionevolezza. Prendete gli ultimi due giorni. Cosa è successo in politica negli ultimi due giorni? Solo due cose. Che lunedì la magistratura ha impallinato l’ex premier Conte – eliminandolo dalla scena – e mercoledì ha impallinato l’ex ex premier Renzi – che però è un po’ più difficile da eliminare-.

Non li ha impallinati perché essi abbiano commesso qualche reato o qualche infamia, ma semplicemente perché alla magistratura non sono piaciute alcune iniziative politiche realizzate dai due ex premier. Non è piaciuto il modo nel quale i 5 Stelle hanno modificato il proprio statuto e hanno eletto Conte loro capo, e non è piaciuta la Fondazione messa in piedi da Matteo Renzi, e anzi hanno stabilito che questa fondazione non era una fondazione ma era un partito politico del quale Renzi era il capo e quindi era finanziata illegalmente. Perché illegalmente? Perché alcune leggi molto strampalate, approvate da geniali partiti suicidi (praticamente tutti), hanno recentemente stabilito che i partiti non devono né essere finanziati dallo Stato né dai privati, cioè devono morire. Qualunque associazione di qualsivoglia genere può essere finanziata sia dai privati che dallo Stato, ma i partiti no, probabilmente perché sono considerati pericolosi. E quindi chi viene beccato a farsi finanziare o a finanziare un partito, zac scatta l’incriminazione. Spiego meglio.

La magistratura ha stabilito che tocca a lei (a lei magistratura, dico) decidere come si fanno gli statuti dei partiti, e non agli iscritti ai partiti. E che spetta sempre a lei stabilire chi è un partito e chi no. Se per esempio io fondo una società di pasticceri con lo scopo di far pressione per detassare le uova, e poi mi faccio finanziare dagli allevatori di polli, e un magistrato decide che il mio non è un libero sindacato o qualcosa del genere, ma è il partito dei pollari, zacchete mi incriminano e mi sequestrano i soldi, le uova e i bignè. Forse anche i polli. La storia di oggi, quella di Firenze, è clamorosa. Credo che nessuna persona ragionevole possa ignorare che si tratta non di una iniziativa giudiziaria ma di una autentica persecuzione contro Matteo Renzi e i suoi. Le indagini, oltretutto, sono state realizzate in spregio delle leggi. Cioè violando le leggi e i diritti dell’indagato. Possiamo anche dire che in tutta questa vicenda un reato c’è, ed è quello commesso dai sostituti procuratori che hanno deciso di provare a eliminare Renzi dalla scena politica. Con l’avallo del loro Procuratore, che peraltro non si capisce bene neppure perché sia ancora Procuratore di Firenze, visto che il Csm ha accertato che si è reso responsabile di un reato piuttosto grave, anche se non perseguibile penalmente perché non denunciato entro un anno dalla vittima (che però lo ha confermato).

Vedete bene che non è una ossessione, la nostra. È solo il timore che l’Italia, giorno dopo giorni, scivoli in un catino dove vigono le regole di una società autoritaria, una sorta di repubblica giudiziaria dove tutti i poteri democratici sono sottomessi a una piccola oligarchia composta da un certo numero di Procuratori, e sostituti e Gip, riuniti in correnti, o forse anche il Logge segrete, e ai quali è riconosciuto il potere assoluto sulla vita dei sudditi, cioè quella forma di potere che in Europa era stato cancellato ai tempi del passaggio alle monarchie costituzionali e dell’avanzare timido dell’illuminismo. La vicenda Renzi mi pare limpida. Non c’è molto da spiegare. Il copione è sempre lo stesso: quello della persecuzione politica che si realizza anche grazie al sostegno legislativo fornito dalla stessa politica la quale – per ragioni in parte spiegabili, e riconducibili fondamentalmente alla vigliaccheria, e in parte inspiegabili – lo ha fatto sempre in modo sereno e ossequioso.

L’esempio più chiaro e conosciuto del meccanismo della persecuzione è quello che dura da quasi trent’anni nei confronti di Berlusconi. Ma ce ne sono tanti altri. Butto lì un po’ di nomi alla rinfusa: Bassolino, Mannino, Mancino, Lombardo, Penati, Del Turco, il generale Mori, Nunzia De Girolamo, Federica Guidi… E se vogliamo andare indietro negli anni, c’è un nome più pesante di tutti, perché è quello di uno statista socialista che fu perseguitato per colpire le idee che incarnava: appunto l’essere statista e l’essere socialista. Forse non c’è bisogno che io scriva il nome, però lo scrivo: Craxi. Anche perché penso che soprattutto noi di sinistra, anche i più garantisti tra noi, siamo un po’ in debito con Craxi, quantomeno per non averlo difeso abbastanza e per aver assistito piuttosto indifferenti all’accanimento col quale fu portato alla morte. È stato uno dei capitoli più vergognosi della politica italiana.

Dicevo di Renzi, occhei, tutto prevedibile. Ma Conte? Come è potuto succedere che la magistratura abbia deciso di eliminare dalla scena politica il capo del movimento, anzi del partito, che è stato la clava e la baionetta e il cannone e la mitragliatrice che hanno sostenuto, chiesto, ottenuto e difeso la sua avanzata (l’avanzata della magistratura, dico)? Ecco, questo è quasi inspiegabile. Ha lasciato tutti attoniti. E vero che con ogni probabilità Conte sarebbe comunque sparito dalla ribalta senza bisogno della magistratura, per inconsistenza politica evidente e ormai a tutti nota. Però colpisce il fatto che dei magistrati abbiano voluto mettere la firma sull’atto di scomparsa. Il povero Travaglio è rimasto senza parole. L’altro giorno sulla “7”, con Lilli Gruber, balbettava a braccia conserte. Diceva: “ma guardate che se si vota altre cento volte Conte sarà sempre rieletto, e invece del 92 per cento prenderà il 99”.

Travaglio era fiero del successo del suo protetto: il 92 per cento! Dunque amatissimo, amatissimo davvero? Non diceva niente Travaglio su come era fatta la scheda per votare Conte. Sulla scheda c’era solo il suo nome. C’era scritto: volete voi Conte come vostro capo? Poi c’era un Si o un No da metterci la croce. Diciamo pure che un sistema di voto come questo non ha precedenti. Però resta il fatto che ogni partito ha il diritto di scegliersi il sistema di voto che vuole. Almeno, era così prima che fosse instaurata la repubblica giudiziaria. Anzi no. C’è un precedente: le elezioni politiche del 1938. Allora sulla scheda c’era un elenco di nomi, ed erano i nomi da mandare al Parlamento. Una lista unica. Non si poteva scegliere Chiedeva la scheda: Vi va bene questa lista Si o No? Vinsero i Sì col 99,85%. Pazzesco. Un risultato fantastico, migliore, addirittura, di quello di Conte…

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.