«Cambiare la destinazione degli edifici storici? Non ci vedo nulla di male, a patto che si rispettino alcune condizioni. L’esperienza spagnola dimostra che è possibile». Pasquale Rossi, presidente del corso di laurea in Conservazione e restauro dei beni culturali dell’università Suor Orsola Benincasa di Napoli, non ha dubbi: decenni di speculazioni hanno spinto il legislatore a porre vincoli sempre più stringenti sugli edifici di valore storico-architettonico con l’aberrante conseguenza che molti di questi sono diventati vittime dell’immobilismo delle pubbliche amministrazioni, prima, e del degrado, poi. Una via d’uscita, però, sembra esserci ed è offerta dal modello spagnolo.

Professore, quale strategia è stata adottata in Spagna?
«Da quelle parti il vincolo per gli edifici storici riguarda solo le facciate. Così è stato possibile trasformare immobili di pregio, come un vecchio monastero o residenze nobiliari, in strutture ricettive mantenendo intatto l’aspetto esterno».

È un modello replicabile in Italia?
«Può essere un punto di partenza. Ovviamente il solo vincolo relativo alla facciata non basta. Bisogna rispettare l’identità del luogo, salvaguardare le opere d’arte eventualmente presenti all’interno dell’edificio e garantire la fruizione pubblica almeno in una certa misura. Ma la strada tracciata dalla Spagna rappresenta un buon compromesso».

Altrove non si opera così?
«Nel mondo anglosassone gli edifici antichi vengono spesso stravolti perché lì manca la tradizione dei beni culturali. In Italia, invece, assistiamo all’eccesso opposto. Dopo gli anni del boom economico, quando si è consentito ogni tipo di scempio, il legislatore ha introdotto vincoli sempre più stringenti che di fatto hanno reso impossibile il recupero, la valorizzazione e la manutenzione di tanti immobili di pregio».

È successo anche a Napoli?
«Certo. Basti pensare ai negozi della Rinascente in via Toledo, ricavati da strutture neoclassiche di cui si è poi persa ogni traccia. È successo negli anni Sessanta, dopodiché il legislatore ha dettato i vincoli per impedire che certe circostanze si ripresentassero».

Quindi il degrado è frutto della burocrazia?
«Non solo di quella, ma anche della mancanza di fondi e del mancato ricambio generazionale nelle Soprintendenze. Quei vincoli avevano ragion d’essere 30 o 40 anni fa, adesso il quadro è cambiato».

Come si può invertire la rotta?
«Stimolando i concorsi di idee e non cedendo ai pregiudizi nei confronti degli investitori privati. Certo, una discoteca in una chiesa settecentesca è inammissibile. Ma dobbiamo fare in modo che monasteri, chiese, residenze e altri immobili storici di pregio possano essere recuperati e valorizzati rapidamente, sebbene nel rispetto dell’identità dei luoghi».

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.