Non sappiamo che tipo di conseguenze avrà questa crisi sanitaria sul nostro futuro. Quelli che lo delineano con precisione, commettono certamente un errore di presunzione. Più razionalmente e soprattutto utilmente, possiamo solo proporre progetti e delineare scenari sulla base delle esperienze che stiamo vivendo. Ognuno per la sua parte, progettando tessere d’un mosaico che la politica dovrà ricomporre in un disegno unitario. L’architettura e il design possono partecipare alla costruzione di questo disegno riflettendo, caso per caso, sulle trasformazioni da apportare al mondo delle costruzioni per adeguarle ai prevedibili mutamenti culturali futuri, a partire dall’emergenza attuale. Recentemente sono stato coinvolto nella “design force” costituita dal DesignTech Hub di Mind (Milano Innovation District) per delineare i contorni del nuovo mondo dopo la pandemia, attraverso il White Paper DesignTech for Future che propone soluzioni operative in tredici ambiti diversi. Ideato da Hi-Interiors, questo progetto si propone di consegnare alla società e alle istituzioni un documento programmatico per la ripartenza. Le grandi crisi offrono grandi opportunità e, in questa occasione, il design (dal cucchiaio alla città) può svolgere un ruolo fondamentale nel superamento della crisi e nella creazione di un nuovo futuro per le nostre città.

Nelle parole del ceo di Design Tech Hub e promotore del White Paper, Ivan Tallarico, “il design è il ‘super potere’ dell’Italia, che può e deve sfruttare al megli nell’era post Covid-19 più di quanto non abbia fatto negli ultimi decenni. Questo è il momento storico giusto per (ri)portare il design al centro del dibattito pubblico come opportunità per il Paese. I partenariati pubblico-privati (PPP) sono lo strumento con cui favorire progetti di riqualificazione urbana in cui coniugare variabili di innovazione sociale, tecnologica e ambientale”. Nel mio contributo al White Paper ho accennato all’apporto che il Giappone può offrire a questa causa. In primis attraverso gli ideali proposti negli anni ’60 dal Gruppo Metabolism con l’apertura ai mutamenti delle società e l’attenzione al ciclo di vita dell’edificio. Ma anche grazie i concetti urbanistici di PPP e POPS, largamente adottati nelle città giapponesi. Prendo spunto dal recente articolo di Carlo Nicotera sul “New Deal per le città e il territorio”, per ricollegarmi al dibattito che nel 2012 seguì la proposta dell’imprenditore Alfredo Romeo di riqualificazione della Insula dell’Antica Dogana.

Il progetto prevedeva la realizzazione di un garage interrato automatico, isole pedonali, rifacimento della pavimentazione e dell’illuminazione, rimozione degli abusi e decoro urbano. In sostanza, la proposta era incentrata sulla rivalutazione commerciale dell’area, il surplus in grado di garantire i mezzi per la sua gestione. Il privato interviene su un pezzo di città con la delega del pubblico, ma sempre sotto il suo stretto controllo: una sorta di “federalismo urbano”, dove ciascuna insula sia in grado di auto-amministrarsi. L’apertura che il sindaco de Magistris aveva mostrato otto anni fa per questa proposta si è poi risolta in un nulla di fatto. Questo in linea con un “immobilismo autoreferenziale” – per citare Paolo Macry – che perdura ancora oggi. Ricordo anche l’intervento di Giuseppe Galasso secondo cui la città deve “respirare e vivere”: a Napoli esiste un centro antico, patrimonio intoccabile, e un centro storico, dove si può e si deve intervenire con “grande coraggio di immaginazione culturale e civile e senso dei valori storici e dei problemi sociali in gioco”.

Dunque, si può e si deve coinvolgere il privato nelle trasformazioni pubbliche, garantendo al contempo la legalità degli interventi e la loro pubblica utilità. Un’amministrazione comunale che rinunzia al capitale privato per timori preconcetti dichiara pubblicamente la propria incapacità a controllare il rapporto pubblico-privato. La recente pandemia ha evidenziato i rischi connessi al modello contemporaneo di concentrazione urbana. D’altro canto, la densità offre efficienza, connessioni sociali e opportunità per il benessere. In una recente pubblicazione, la società americana Gensler ha individuato nel “modello policentrico” – in cui i distretti autosufficienti sono distribuiti tra le città e funzionano come villaggi urbani – uno dei modi migliori per dare forma alle concentrazioni urbane. Secondo gli autori, “tali modelli hanno il potenziale per migliorare la qualità della vita, promuovere la percorrenza pedonale e liberare spazio per altri usi, come parchi e giardini”. Il concetto di “federalismo urbano” rappresenta un ribaltamento di prospettiva rispetto ai POPS (Private Owned Public Spaces).

Nel caso dei POPS, il privato offre parte dei propri suoli per l’uso pubblico, garantendone la gestione e la cura in cambio di incentivi. Nella proposta di Romeo, il privato investe nella riqualificazione e manutenzione cura del suolo pubblico, ricavandone benefici economici dal gettito tributario e dalla rivalutazione commerciale. A fronte della perenne carenza di fondi pubblici per la gestione e manutenzione delle città, i governi fanno sempre più spesso affidamento sulla collaborazione con il settore privato, incluse le comunità locali. Il concetto di Public Private Partnership (PPP) è ormai una costante nell’urbanistica delle città giapponesi ed è spesso attuato tramite i POPS. Diversi studi accademici hanno dimostrato come, in particolare nel caso di Tokyo, una combinazione di spazio pubblico convenzionale e POPS rappresenti, se gestito in modo corretto e trasparente, un vantaggio per tutte le parti coinvolte (compresi i residenti).

Questo tipo di approccio nella pianificazione e gestione di spazi pubblici urbani apre la strada verso città più vivibili e sostenibili in futuro. Un caso studio degno di nota è quello di Kashiwa, nella periferia di Tokyo, dove i è stata sperimentata una originale forma di PPP basata su una partnership strategica tra tre settori principali: pubblico, privato e accademico. Nel caso specifico, il Comune di Kashiwa si è alleato con uno dei principali sviluppatori immobiliari in Giappone (Mitsui Fudosan) e la principale università pubblica nazionale (l’università di Tokyo) con un ambizioso obiettivo comune: creare un modello globale di città del futuro basata su ambiente, industria e longevità. Grande visibilità (e grandi soddisfazioni) per una piccola e anonima cittadina, la cui ricchezza storica e culturale è solo una frazione di quella di Napoli.