Il ritorno in nazionale di Mario Balotelli, dopo circa tre anni dall’ultima convocazione, annuncia una chiusura del cerchio, vitale prima ancora che sportiva. Ricordiamo la sua storia: nato a Palermo nel 1990 da una coppia di immigrati ghanesi, Thomas e Rose Barwuah, che presto si trasferirono in provincia di Brescia, da bambino fu ricoverato in ospedale a causa di una grave malattia. Affidato ai servizi sociali, venne cresciuto dai genitori acquisiti di cui porta il nome. Diventò cittadino italiano solo a diciotto anni.

La sua carriera, dall’Inter al Manchester United, dal Milan al Liverpool, dal Nizza all’Olympique Marsiglia, dal Brescia al Monza, fino all’Adana Demirsport, nella Super Lig turca dove attualmente milita, è stata caratterizzata da alti e bassi: tecnicamente si tratta di un talento puro e cristallino, centravanti atipico in grado di svariare sull’intero fronte d’attacco, con un tiro secco e preciso, anche dagli undici metri, che gli consente di inquadrare la porta assai più spesso della media; il suo limite, come tutti sostengono, a torto o ragione, è di tipo psicologico. Dovunque sia andato, rincarano la dose i detrattori, ha creato qualche problema coi compagni e gli allenatori, non riuscendo a integrarsi sino in fondo nei gruppi che si formano all’interno degli spogliatoi. Ma qui comincia il vero interesse che questo ragazzo suscita oltre la dimensione calcistica.

Ho conosciuto diversi adolescenti così, segnati in modo indelebile dalla presenza di due famiglie, quella naturale e quella adottiva: sono sempre stati i miei preferiti, non foss’altro perché confermano, sul campo delle operazioni, ciò che la grande maggioranza degli antropologi ha cercato in tutti i modi di spiegarci teoricamente e cioè l’importanza decisiva dell’ambiente sociale in cui si cresce, senza negare, anzi tenendo bene in conto, le predisposizioni genetiche presenti in ognuno di noi: se il manifestarsi di queste ultime viene ostacolato, si ha la sensazione dell’ingiustizia; ma anche quando le doti possono esprimersi, in virtù della determinazione di chi le possiede, è difficile trattenere lo sconcerto.

Prendi dieci fanciulli oxfordiani, trapiantali a Caivano o Tor Bella Monaca, dopodiché vedrai come cambieranno! Alcuni, in stile Super Mario, potranno anche diventare ricchi e famosi, ma si trascineranno sempre dietro l’ombra oscura che da piccoli rischiò di fagocitarli. Ecco perché è facile condannare le intemperanze di Balotelli, enfatizzandone i momenti più imbarazzanti, come quando sul molo di Napoli si spinse a scommettere duemila euro sulla possibilità da parte di un conoscente di lanciarsi in mare con lo scooter, e quello lo fece sul serio intascando la somma pattuita; più difficile mettersi nei suoi panni e provare a vivere le medesime esperienze. Sono usciti nei giorni scorsi in Rete, dopo il recente stage di Coverciano, diversi video per celebrare le gesta del bomber, talvolta un po’ troppo severi nel rimpiangere ciò che sarebbe potuto essere e non è stato, ma lo strepitoso campionario di finte e controfinte, dribbling e passaggi smarcanti, colpi di tacco e tunnel, pare di fatto smentire gli stessi compilatori dei filmati.

Cosa pretendere di più? Forse soltanto Roberto Mancini, ct dell’Italia, attesa a marzo da due drammatiche finali, prima con la Macedonia a Roma e poi con la vincente fra Turchia e Portogallo in trasferta, da superare assolutamente per essere ammessi ai Mondiali in Qatar, saprà spremere dal ragazzo l’ultima stilla d’energia che gli rimane. Del resto fu proprio lui a far esordire in Serie A nel lontano 2007 un giovanissimo Balotelli. Anche il Mancio, uno dei migliori numeri dieci della sua peraltro aurea generazione, non si sentì totalmente realizzato come avrebbe voluto, forse proprio a causa dell’ipersensibilità che ancora oggi lo contraddistingue: infatti nelle interviste televisive post partita sembra sempre sul punto di scoppiare. E questo aggiunge legna al fuoco del destino comune che lega il mister al giocatore.