La cacciata di Assad dalla Siria è o non è l’inizio della catastrofe russa? Il presidente Putin nelle conferenze stampa che ha concesso e agli incontri che ha avuto con industriali occidentali (“Ma perché mi parla in inglese? Lei non è tedesco?” ha detto in modo sferzante a uno di loro) ha assunto un atteggiamento teatrale, sicuro e spavaldo. La Russia, dai tempi dell’Unione Sovietica di Breznev, cominciò a insediarsi con due basi navali, con un contratto d’affitto a Damasco. La Siria è il suol piede in Medio Oriente e la presenza militare russa ha determinato uno smussamento tra le posizioni di Mosca e di Gerusalemme. La Russia non è un protettore della Siria ma si vuole tenere ben strette le sue due basi.

Gli eventi

Del regime di Assad non importa nulla né prima né dopo la sua caduta, perché il primo passo vincente della diplomazia del ministro degli Esteri Lavrov è consistita nel mettersi al sicuro anche col nuovo governo rivoluzionario – per ora confuso e incerto -, affinché fosse chiaro a tutti che la Russia non intende aprire un fronte di guerra siriano, non ha voglia impelagarsi nelle lotte politiche fra residui di Al Qaeda, battaglioni curdi e proxy iraniani. E meno che mai nelle inevitabili risse fra sciiti e sunniti. La Siria è fondamentalmente un paese sunnita cui è stato imposto un governo a guida sciita, prono alle richieste di Tehran, e che ha usato sempre il bastone di ferro per contenere le rivolte sunnite. Quella che ha preso il potere con un colpo di mano rapidissimo e una fazione sunnita violentemente ostile agli sciiti di Tehran e la Russia sta già trattando con loro e stando alla allegra spavalderia di Lavrov avrebbe già concluso ciò che le sta a cuore.

Ma qual è la differenza, il gap tra atteggiamento e realtà? I russi sono bravissimi nell’assumere atteggiamenti sdegnati, accorati, vittimistici, esultanti sprezzanti con poca spesa perché hanno una rete di televisioni, network, agenti nei media di tutti i paesi occidentali che sanno ingigantire il loro atteggiamento. Tuttavia, il Wall Street Journal – che ha la memoria lunga della guerra del Vietnam – sostiene che la situazione russa in Siria è quella che avevano gli americani quando cadde Saigon. E che nessuno può garantire loro la permanenza e la solidità delle basi navali come prova il fatto che la prima reazione di Mosca alla caduta di Aleppo e alla imminente resa di Damasco, è stata quella di far levare in volo e rientrare in Russia tutta la forza aerea militare che finora avevano schierato per difendere il regime di Assad, provocando autentici massacri di civili (si parla di circa mezzo milione di morti per i bombardamenti russi), e un vero e proprio esodo che ha portato una parte della popolazione siriana a migrare in Canada o in Australia.

Le notizie fumose

Con aria quasi sprezzante il Presidente russo ha avvertito che gli eventi siriani non avranno alcuna influenza negativa sulle operazioni nel Donbass che hanno ottenuto nell’ultimo mese una notevole avanzata. Le notizie che arrivano sono ancora fumose perché è stato detto dei soldati russi che lasciano la Siria che saranno rimpiazzati dalla cosiddetta legione Wagner. La Wagner, tuttavia, è quasi una finzione militare perché le sue modeste truppe hanno subìto in Africa occidentale sconfitte campali degli insorti Tuareg che avevano già cacciato i francesi. Ultimo argomento – e non per importanza – è quello della travolgente crisi economica che la Russia sta attraversando e che la costringe a pagare più care le armi delle sue stesse fabbriche e i mercenari che accettano di combattere per cifre fra i quattro e i cinquemila dollari al mese. Il rublo è ormai una valuta non accettata per le transazioni fra India e Russia e fra Cina e Russia e il soffocamento nella società è avvertibile come è avvertibile la galoppante inflazione. Per quanto la Russia si permetta un esercito costoso e salari drogati per chiunque lavori per la guerra, resta il fatto che lo sterminato Paese abbia un Pil più o meno uguale a quello spagnolo.

Il verdetto di Trump

Trump ha detto subito che la questione siriana è certamente importante e richiede la massima attenzione, ma che gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di intervento diretto. Ma queste parole non sono piaciute affatto a Putin, il quale non crede una parola del neoeletto presidente americano. Putin lo detesta perché Trump ha arruolato nel suo gabinetto di governo il generale Joseph Keith Kellogg come suo procuratore militare per quanto riguarda l’Ucraina e ha detto che Kiev non entrerà nella Nato ma sarà protetta direttamente dagli Stati Uniti.

L’esplosione siriana ha alleggerito la Russia dal peso di mantenere una pesante guarnigione a sostegno di Assad, ora esule a Mosca. In Siria, se tutto va bene, Putin manterrà le forze indispensabili per la sicurezza delle sue basi, ma è sicuro la presenza americana garantita nel Medio Oriente cercherà di logorare il più possibile i russi in Siria, con l’aiuto degli alleati curdi, così da costringere Putin a sottrarre brigate dal fronte ucraino. Una nuova guerra dei nervi è cominciata e la Russia è in svantaggio.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.