La scomparsa
La scomparsa di Giorgio Napolitano e una nuova via migliorista per un riformismo di governo
La grande lezione di Napolitano rinverdisce anche nella stagione più gelata. La sinistra punti sui contenuti programmatici: basta con le stucchevoli recriminazioni
La politica ha celebrato Giorgio Napolitano e la sua alta lezione politica e culturale come egli meritava. Spente le luci dei solenni funerali nell’aula di Montecitorio e sepolto il presidente emerito della Repubblica non lontano dalla tomba di Antonio Gramsci, è probabile che ognuno riprenderà le proprie cose e grazie a tutti. Sarebbe un peccato se andasse così. È ovvio che né nel Pd né fuori di esso ci sono eredi diretti di Napolitano, per tante ragioni, ma ci potrebbe essere un tentativo di raccogliere qualche cosa di quel tanto che il Presidente emerito ha seminato nel terreno aspro e non sempre adeguatamente coltivato della sinistra democratica: e questo tentativo dovrebbe rappresentare un fatto politico nuovo e importante. Non si tratta solo di recuperare una lezione ma di fare della memoria una nuova avventura partendo da un’iniziativa politica forte con la costruzione nel Pd di una corrente migliorista (ché “riformista” comincia ad essere un’etichetta buona per chiunque) definita e strutturata. Viene avanti infatti l’esigenza di smuovere il dibattito nel Pd connettendolo a quello che si svolge nell’area riformista esterna a questo partito, soprattutto ai tanti insoddisfatti sia dell’attuale radicalismo del gruppo dirigente del Nazareno che dell’inconcludenza dell’ex Terzo Polo, dopo il suo fallimento, che non si ritrovano in nessun partito. Dare battaglia su una idea di fondo: come ricostruire una sinistra di governo.
Bisognerebbe combattere, nel Pd, una battaglia politica e delle idee: oggi di questo v’è scarsissima traccia. Ma perché una corrente “migliorista”, cioè una sinistra di governo? Perché dovrebbe sviluppare e aggiornare ai tempi nuovi i capisaldi di quella piccola ma decisiva componente del Pci-Pds, che ebbe qualche eco anche oltre, che se avesse prevalso (ipotesi dell’irrealtà) avrebbe cambiato il corso della vicenda italiana. D’altronde questi capisaldi sono chiari. Alcuni si possono dare per scontati, come l’orizzonte europeo, “la via maestra” come l’ha definita Paolo Gentiloni nel suo bel discorso pronunciato ai funerali di Napolitano, una scelta decisiva per la difesa della libertà nel nostro continente e nel mondo: la causa ucraina ne è il drammatico simbolo. Si tratta di contrastare i residui di antiamericanismo e antioccidentalismo che in una parte della sinistra sono tuttora così incrostati e dunque di svolgere sul piano dei valori una vera battaglia liberale. Poi occorre un pieno recupero della lotta politica a viso aperto ma in un quadro “non distruttivo”, come disse Napolitano nel dibattito sulla fiducia al primo governo Berlusconi; la scelta chiara a favore di alleanze politiche con le forze politiche e culturali che si richiamano al riformismo e dunque l’esclusione da questo novero del partito di Giuseppe Conte, un uomo che “ha annegato le idee nello stagno del potere” (Biagio de Giovanni), almeno fino a quando il M5S non avrà compiuto una metamorfosi e un cambio di leadership che certo non è alle viste: per essere più chiari, la corrente migliorista del Pd dovrebbe battersi per riaprire il discorso con Italia viva, Azione e Più Europa muovendo dai contenuti programmatici di governo e non certo dal gioco stucchevole delle recriminazioni.
In questo quadro si dovrebbe mettere mano ad un serio piano economico “a medio termine” di salvezza e rilancio nazionale (senza lasciare questa parola alla destra), un progetto di governo fondato sul protagonismo delle forze sociali, sindacati e imprenditori, per uno sforzo comune per la produttività, la crescita, le riforme di struttura e la modernizzazione del Paese; la valorizzazione della ricerca scientifica; il disegno di un nuovo welfare; l’innovazione costituzionale; l’accoglienza e l’allargamento delle libertà. Riprendiamo una frase dal documento “laburista” (tra i firmatari c’erano Marco Bentivogli, Giorgio Gori, Enrico Morando, Stefano Ceccanti, Giorgio Tonini) dove si poneva con chiarezza il nesso fra crescita e lotta alle disuguaglianze, tema quest’ultimo che non può essere appannaggio della sinistra radicale: “La lotta contro le vecchie e le nuove disuguaglianze – che può e deve prevedere misure di assistenza verso i poveri e gli esclusi, quale che sia la causa della loro debolezza – deve rigorosamente iscriversi in una credibile strategia di emancipazione, incentrata sullo sviluppo delle forze produttive.
Non c’è infatti produzione di ricchezza senza imprese, senza valorizzazione dell’iniziativa economica privata, del talento e del sacrificio degli individui. Il nostro compito è quello di aprire a tutti questa possibilità, contrastando le disuguaglianze di destino, le rendite e i privilegi”. Ecco: un moderno progetto neosocialdemocratico o laburista innestato sui valori liberali e gli insegnamenti della dottrina sociale cattolica in grado di contendere al radicalismo e al settarismo dell’attuale gruppo dirigente del Pd la guida di questo partito contribuendo ad elevarne il peso e l’influenza tra i cittadini, nel mondo politico e della cultura.
“Migliorista” era una parola scagliata come un epiteto infamante da coloro che negli ultimi anni di vita del Pci ancora consideravano attuale il superamento del capitalismo e vivevano con fastidio il gradualismo riformista che veniva da Eduard Bernstein che ha nutrito le moderne esperienze di governo socialdemocratico e democratico da Brandt a Palme al socialismo mediterraneo di Mitterrand alla Terza via di Blair e Clinton. Sono passati molti anni da allora. Ma non è lontano il tempo nel quale bisognerà scegliere se dar vita a una nuova corrente migliorista o andare a fare un Pd genuinamente riformista da qualche altra parte. Avendo fiducia che le grandi lezioni, quando sono appunto davvero grandi come quella di Giorgio Napolitano, rinverdiscono anche nelle stagioni più gelate. Se c’è qualcuno capace di innaffiare quella pianta.
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