L'esibizione
La seconda vita dell’ex R.E.M. Michael Stipe, la sua mostra a Milano con 120 opere
Che fosse un artista molto espressivo si capiva già quando, sul palco con i suoi R.E.M., cantava “Losing my religion” ipnotizzando legioni di fan. Ora Michael Stipe, carismatico leader della band di Athens (Georgia), pensionatosi ahinoi troppo presto dalla musica si è dedicato a un’altra forma di arte, quella figurativa: la sua prima personale italiana è aperta fino al 16 marzo 2024 negli spazi già di per sé affascinanti di Fondazione ICA – Istituto Contemporaneo per le Arti, istituzione privata non profit dedicata alle arti e alla cultura contemporanea – di Milano e si intitola “I have lost and I have been lost but for now I’m flying high”, un nome che comunque un po’ sembra il titolo di una delle sue canzoni. Curata da Alberto Salvadori, storico dell’arte e direttore della fondazione, l’esposizione propone ai visitatori una selezione di 120 opere realizzate con un ampio numero di materiali e modi, dalla fotografia alla ceramica, dalla scultura alle opere audio.
È l’occasione per indagare lo sguardo dell’istrionico Stipe, da sempre affascinato dall’essere umano specialmente nelle sue espressioni di maggiore vulnerabilità, che per l’artista, a differenza delle convenzioni e convinzioni comuni, rappresentano punto di forza e di slancio per raggiungere i propri obiettivi o comunque per andare oltre, per evolvere: un motore salvifico che attraverso la crisi consente di creare davanti a sé nuove prospettive. Concetto coerentemente illustrato dall’articolato titolo della mostra, frutto di una conversazione con il curatore, in cui Stipe ha spiegato: «La vulnerabilità diventa un superpotere… Una mappa che descrive le difficoltà del nostro presente mettendo in luce nuove opportunità e una rinnovata comprensione della nostra importanza, non solo per noi stessi, ma anche per coloro che ci circondano, per le nostre comunità, per il nostro mondo. In questo momento scelgo di concentrarmi sul bene più prezioso, sulla brillantezza, sulla bellezza e sulla giocosità della vita. Ho perso e mi sono perso, ma per ora sto volando alto».
Grande ispirazione per questo lavoro è venuta a Stipe dalla poesia di Max Ehrmann “Desiderata”, scritta nel 1927 e in seguito assunta a simbolo dal movimento hippie americano degli anni Sessanta: il testo esprime in forma poetica contenuti fortemente spirituali, vicini alla ricerca umana dell’artista – celebre il passaggio “Tu sei un figlio dell’universo/ non meno degli alberi e delle stelle/ hai il diritto di essere qui” -. Peraltro ad essa si riferiscono esplicitamente due opere, “Desiderata2027”, “DesiderataKey2027” e “DesiderataTeleprompter”, in cui l’artista gioca con lo scritto di Ehrmann restituendolo in frammenti ricamati su una serie di coloratissimi beanies, i berretti di maglia che tanto ama.
Oltre alle sculture, tra cui spiccano alcune celebrazioni della “Colonna infinita” di Constantin Brâncuși, sono esposti una serie di omaggi a personaggi famosi da lui ammirati, liberamente accostati a persone care, familiari ed amici, rappresentati in fotografie – media che Stipe comincia a praticare dall’età di 14 anni e che praticherà per tutta la vita – o simbolicamente attraverso vasi di ceramica su cui si legge il loro nome, o ancora come libri e quaderni senza pagine, in una carrellata intima e popolare allo stesso tempo, capace di unire gli opposti in maniera verticale. Questa è probabilmente la forza del lavoro di Stipe, la capacità di essere umano e universale, privato e pubblico, in un dialogo che non contrappone i vari aspetti dell’esistenza ma li concilia sotto un unico cappello, quello dell’essere tutti umani, fratelli, fragili e forti, comunque emozionanti. Così l’evocazione di Fredde Mercury e Patti Smith, Madonna e Tilda Swinton hanno il medesimo peso di sconosciuti amici dell’artista, delle sue sorelle o del suo fidanzato, l’artista Thomas Dozol, in quello che alla fine diventa una sorta di ritratto dell’artista medesimo, che riservato e schivo finisce per essere definito dalle persone che ama; allo stesso tempo è una celebrazione dell’essere umano nella sua espressione più pura e alta, quella comunitaria.
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