L'editoriale
La sindrome dei democratici che pensano da grillini
L’ultima stagione della serie “L’affascinante avventura”, vale a dire il poema da pastone basso-imperiale che canta il tira e molla dell’agognata joint venture Pd/5Stelle, risente come dal primo giorno e dalla prima puntata dello stesso, tragico fraintendimento: e cioè che si tratti sempre e ancora una volta di una sinistra adulta e costituzionale protesa alla civilizzazione dei barbari, disponibile ad accettarne qualche inevitabile asperità, qualche estetica ma irrilevante intemperanza. Il tutto, in nome e in vista del greater good costituito da una prospettiva di governo magari non bella e importante come quella che garantirebbe un’alleanza con Luiz Inácio Lula da Silva, con Hugo Chávez o con il cantante Ghali – tutti, per motivi diversi, purtroppo indisponibili – ma insomma capace di far ricominciare la sinistra come si deve e restituirle il respiro che ci vuole per le grandi battaglie identitarie, dalla riconquista dei possedimenti democratici in Rai alla ricostituzione di un sano rapporto di scambio e interlocuzione con le Procure della Repubblica.
Insomma, dall’accredito corregionale di Massimo D’Alema, che evocava sognante il “populismo gentile” dello statista apulo-venezuelano, per poi passare ai riconoscimenti multi-curricolari che ne faceva Pierluigi Bersani (“è un uomo colto”) e fino al realismo da dopolavoro Cgil secondo cui “il dialogo coi 5Stelle è doveroso per la sinistra”, è stato tutto un reiterare l’idea balorda secondo cui l’accoppiamento serio, dopo il petting del governo in tempo di Covid e qualche sveltina amministrativa, si sarebbe dovuto finalmente consumare con disinibita disponibilità nonostante qualche caratteristica politicamente un po’ sgrammaticata dei giovanotti mandati in parlamento dalle piazze del vaffanculo.
Idea balorda perché i tratti salienti di quel movimento populista e reazionario non rappresentano affatto le trascurabili inappropriatezze su cui il Pd, in vista di quel bene più grande, era ed è disponibile a transigere, ma esattamente il contrario: e cioè elementi identitari che nel Pd suscitavano, e continuano a suscitare, mozioni di riconoscimento e ammirazione, e irrefrenabili istanze imitative.
Non c’è un campo politico arato dai 5Stelle su cui il Pd non impianterebbe la propria partecipazione consortile. Non c’è un settore, lambito dal potere di quella schiatta di pericolosi analfabeti, in cui il Pd avvertirebbe qualche senso di incompatibilità. Dalla giustizia al rapporto disturbato, e ostile, con il sistema democratico rappresentativo, dall’economia mezzo dirigista e mezzo prefettizia di cui hanno dato prova quegli avventizi di uno statalismo truculento, dai vagheggiamenti autarchico-straccioni di un’economia anti-europea e cedevole a Mosca alla tutela dei confini nazionali tramite i decreti sicurezza, non a caso mantenuti in purezza dal Pd per un anno buono, e poi riveduti tutt’al più in qualche virgola, nulla, ma proprio nulla, ha denunciato anche solo il sospetto che quella sinistra sorvolasse anziché condividere quell’omogeneo manifesto illiberale. L’alito un po’ pesante non è l’inibitoria all’affascinante avventura: è lo stimolo.
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