Se guardiamo al rapporto tra politica e società civile in Italia oggi potremmo sintetizzare: se a sinistra vige una continua rincorsa alla società civile in nome dell’amichettismo, dei “papi stranieri”, a destra domina il comando di uno solo, la leadership del capo partito. In un piccolo ma importante libro degli anni novanta, la storica Mariuccia Salvati notava come la scarsa legittimazione delle istituzioni pubbliche italiane aveva sempre reso difficile costruire nel nostro paese una leadership di élite duratura ed efficace.

Dalle ceneri di Tangentopoli

Al suo posto si materializzavano crisi di legittimità del sistema politico e leadership populiste. La destra italiana venuta in essere nel 1994 rispecchiava perfettamente questo schema: nata dalle ceneri di Tangentopoli intorno alla leadership liberal-populista di Silvio Berlusconi. Era una destra peculiare, anti politica, povera di strutture partitiche, inventata dal Cavaliere attraverso l’unione di ex missini e leghisti. Berlusconi per legittimare questa operazione aveva fatto appello alla “società civile”, i politici non di professione. Questa operazione è stata un successo poiché ha portato rinnovamento nella classe politica italiana. Tuttavia, nell’epopea berlusconiana la componente della società civile è di fatto sfumata rapidamente. Il centrodestra è stato trasformato in un coacervo di politici di professione.

Il mito della società civile

Il ricambio innescato nel 1994 si è presto trasformato in professionismo e in personalismo, tanto che il partito di Berlusconi è sempre stato cosa soltanto sua, mentre i suoi successori, cioè Salvini e Meloni, sono a tutti gli effetti dei professionisti della politica. Ciò è avvenuto perché la politica come professione vince sempre e perché la società civile italiana è più mito che sostanza. Gran parte della borghesia preferisce non essere disturbata dalla politica come aveva capito benissimo Berlusconi che l’ha sempre sollevata da richieste di militanza o impegno diretto così come da tentativi pedagogici e di moralizzazione. Ecco dunque che il mito della società civile si è infranto tra fedeltà personale al leader, asfissia delle strutture della società civile stessa e forme di professionismo politico. Oggi il centrodestra vive una fase in cui questi tre elementi sono presentissimi, anche se il leader non è più Berlusconi, e la società civile è totalmente uscita di scena sia dai partiti che dalla retorica politica. Questa assenza può essere per certi versi considerata un bene da coloro che credono nella politica come professione, ma per altri mostra quanto difficile sia per i partiti di destra dotarsi di una leadership di élite in grado di governare con capacità ed efficacia. Come ad esempio il conservatorismo culturale propugnato da Meloni.

Dritti al consenso

Quando un anno e mezzo fa il centrodestra ha vinto le elezioni, politici e intellettuali vicini a Fratelli d’Italia enunciavano un piano per costruire una nuova egemonia culturale e affiancavano al sovranismo, un cocktail politico di euroscetticismo e nazionalismo, un più raffinato rimando al conservatorismo di cui si prometteva una elaborazione all’italiana che avrebbe permesso di riequilibrare il potere culturale della sinistra. Ci si aspettava un profluvio di iniziative culturali, think tank, fondazioni, riviste e giornali di destra attraversati da un nuovo flusso di idee e protagonisti “civili”; e invece oggi di tutto questo non vi è quasi nulla.
La destra fortissima nella cultura popolare e sotterranea ha preferito tagliare corto e andare diritta sul consenso e sull’amministrazione pura del potere senza coltivare nulla di più alto che non fosse l’occupazione di poltrone. Meloni non riesce ad aprirsi ad un personale che non sia strettamente politico e partitico, non si scorgono all’orizzonte iniziative in grado di creare un canale proficuo con gruppi d’interessi e organizzazioni sociali, non sembra esserci un dialogo costante con manager, industria, investitori e sindacati. Il partito principale del governo è retto da un manipolo di uomini fedeli alla premier senza avere particolari aperture alla società civile.

Il contatto con la società

E anche per coloro che credono nella professione politica di weberiana memoria, si genera un equivoco nell’equilibrio tra politica che deve essere fatta per lo più di professionisti senza che questi perdano il contatto con la società. Una politica troppo chiusa genera problemi di ricambio della classe politica e raramente riesce a genere un sistema di leadership di élite che si estenda oltre le tradizionali istituzioni politiche. Ciò che bisogna domandarsi è infatti cosa resterà della destra quando finirà la legislatura, o la stella politica di Giorgia Meloni si eclisserà. Nulla: non un pensiero politico, non una struttura, non una rete, non bravi amministratori. Così un consenso forte, come quello di Berlusconi ieri e di Meloni oggi, si trasforma in una politica debole, leadership-dipendente. E quando il condottiero smarrisce la sua fortuna tutto il suo contorno politico, culturale, amministrativo e umano viene spazzato via da una nuova palingenesi richiesta dagli elettori. In nome della società civile e dell’antipolitica ovviamente.

Lorenzo Castellani

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