Il 23 luglio la Spagna rinnova le Corti Generali
La Spagna al voto, tra le speranze dei socialisti e la possibile svolta a destra
Mancano una trentina di giorni al 23 luglio, quando gli spagnoli torneranno alle urne per eleggere le Corti Generali, il parlamento spagnolo bicamerale, in elezioni anticipate volute dal premier socialista Sanchez dopo la batosta elettorale delle elezioni municipali di fine maggio.
I sondaggi danno tutti il Partito Popolare del rassicurante ma conservatore Alberto Feijóo primo ed in crescita ma le possibili coalizioni che quasi sicuramente saranno necessarie per formare la nuova maggioranza di governo spiegano molto bene il motivo per cui Sanchez abbia deciso di non “farsi rosolare” pur di mantenere la premiership e di affrettare i tempi, rassegnando le dimissioni e spedendo la Spagna alle elezioni generali. Ad esempio El Pais oggi pubblica un sondaggio in cui Partito Popolare e Vox – il partito di destra estrema ed accusato di essere “filofranchista”, dal nome del dittatore che governò la Spagna col pugno di ferro fino al 1975 – sarebbero ad un soffio dalla maggioranza assoluta: 174 seggi (minimo 165, massimo 183, ma i due valori non sono granché sommabili, perché Vox ruba voti al PPE e viceversa) contro i 176 richiesti.
Ma, per l’appunto mancano ancora trenta giorni al voto e la campagna elettorale deve ancora entrare nel vivo. A sinistra ha preso corpo, guidata dall’attuale seconda vicepresidente del governo, Yolanda Díaz, la coalizione Sumar a sinistra dei socialisti del PSOE, formata da Podemos, dai verdi e da altre liste locali o regionali di sinistra-sinistra. Donna energica, considerata il volto davvero nuovo della politica spagnola, ex coordinatrice nazionale di Izquierda Unita, amata a sinistra ed odiosissima a destra, si è caratterizzata per alcune leggi innovative (alcune assai discusse) che hanno fortemente connotato il governo di Sanchez: il nuovo statuto dei lavoratori, una legge sul salario minimo, la nuova legge sui rider. L’agenda con cui Sumar si presenta agli elettori è tutta incentrata sulla giustizia fiscale e la redistribuzione, sulla lotta al caro affitti e al caro mutui, su questioni sociali (femminismo e tematiche LGBT+ in testa, questioni che hanno già portato un po’ di dissidi col PSOE) e sulle tematiche ecologiche.
Il PSOE di Pedro Sanchez alle elezioni dovrà fare i conti con la pesantissima battuta d’arresto ricevuta alle amministrative di maggio dovuta non tanto alle politiche economiche messe in campo, generalmente apprezzate (così dicono i sondaggi), ma per la barra percepita troppo a sinistra del suo governo (in particolare, tra le cose più criticate da destra, le leggi femministe e pro LGBT+), e ancor più per gli accordi con la sinistra indipendentista della Catalogna e con gli indipendentisti baschi di Bildu, nelle cui liste per le amministrative non mancavano quelli che gli avversari hanno denunciato essere ex terroristi. Non è un caso, si fa notare, che l’unico leader regionale del PSOE che si è salvato dalle recenti amministrative sia Emiliano García Page, presidente della Castiglia-La Mancia, esattamente quello che è stato più forte nel criticare i patti del leader del suo partito. Chiedere altri quattro anni per continuare sulla strada delle riforme, senza dare senso di discontinuità, non pare la strategia migliore quindi per Sanchez.
I Popolari si presentano alle urne con Alberto Feijóo ed una piattaforma più contro (lo sanchismo) che per qualcosa: nel sondaggio pubblicato oggi, per gli elettori del PP la prima motivazione al voto è quella di “porre fine al sanchismo”, mentre per gli elettori del PSOE e Sumar il desiderio di “fermare Vox alle urne” è rispettivamente la quinta e la sesta ragione. L’impressione è che i popolari in realtà cerchino – per ora con successo, non v’è dubbio – il più possibile di arginare Vox alla propria destra, partito con il quale peraltro hanno dovuto stringere accordi locali dopo le elezioni amministrative, sollevando moltissime critiche. La piattaforma economica del PP comunque è tradizionalmente di centrodestra con un occhio a misure popolari, sentite dalla popolazione: riduzione della burocrazia, riduzione delle tasse, riduzione dei costi della politica. Accanto a questo, alcune misure bandiera: leggi a tutela delle donne sì, ma senza quell’approccio ideologico del governo Sanchez e cancellazione di tutte le leggi approvate col voto decisivo degli indipendentisti baschi.
Si arriva a Vox, infine, che si candida ad essere il terzo partito: del resto tutti i sondaggi danno infatti il partito di Santiago Abascal poco sopra il 15%. La formazione, nata nel 2013 ed aderente ad ECR, il partito al parlamento europeo guidato da Giorgia Meloni, è da tutti considerata tra le più di destra nel continente europeo, più vicina ad Orban che alla premier italiana per intenderci. Fissata (letteralmente) sulle politiche di genere (“la violenza di genere non esiste”, ha tuonato un suo esponente di spicco qualche giorno fa), sulla difesa dei valori tradizionali, sul nazionalismo, sul negazionismo del cambiamento climatico, Vox si troverà presto forse al bivio di scegliere se dover perdere la propria verginità alleandosi coi popolari in nome del nemico comune (Sanchez).
Sanchez riuscirà a disattivare la strategia anti-sanchista dei conservatori? Riuscirà a catturare un po’ di voti al centro? I popolari riusciranno a smarcarsi dalle domande scomode sul loro rapporto con Vox con cui si sono alleati però in molte amministrazioni locali? Riusciranno ad attirare un po’ di voto moderato, nonostante il “pericolo” di Vox alle porte? Queste sono le principali domande che bisogna porci. Perché, anche la Spagna non fa eccezione, con sinistra-sinistra e destra-destra saldamente presidiate, le elezioni si vincono al centro.
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