La parabola di tre leader della politica
La lezione spagnola in tre storie chiave: Sanchez, Rivera, Ayuso
Imparare le lezioni dalla storia politica di altri Paesi non è sempre facile, tutt’altro: le vicende politiche nazionali, necessariamente localistiche e personali, condizionano così gli eventi che con ciò che accade in Spagna, in Francia, in Germania o in altri importanti democrazie è sempre difficile fare copia ed incolla negli altri Paesi. E chi lo fa da noi spesso è animato dalla volontà di utilizzare eventi politici stranieri per tentare di condizionare il dibattito pubblico italiano, sfruttando quel provincialismo che spesso ci caratterizza (se si fa così altrove, deve succedere anche in Italia). Tutto ciò premesso, la parabola di tre leader della politica spagnola ci offre spunti di riflessione e ci può aiutare a comprendere meglio, questo sì, l’evolversi della situazione anche nel nostro Paese.
PEDRO SANCHEZ: IL GATTO DALLE MOLTE VITE
Oggi El Pais dedica un bellissimo pezzo alla vita di questo uomo politico che più volte ha saputo riemergere dall’angolo in cui era stato cacciato. Classe 1972, madrileno, economista, il “bello” della politica europea ha saputo risorgere più volte dalle ceneri, come quando nel 2016 si dimise da segretario del PSOE (il partito socialista spagnolo) perché l’opposizione interna del suo partito si rifiutava di seguirlo nel suo niet alla investitura di Mariano Rajoy, leader dei popolari, che cercava di diventare premier con l’astensione proprio dei socialisti. 29 giorni dopo Sanchez si dimise da deputato con l’obiettivo dichiarato di prendere la sua auto e “percorrere di nuovo tutti gli angoli della Spagna per ascoltare coloro che non sono stati ascoltati”. Sette mesi dopo riconquista la guida del PSOE contro tutto l’establishment del partito e un anno dopo, nel maggio 2018, fa sfiduciare Rajoy alla Camera diventando poco dopo premier. E quando, qualche mese dopo, gli indipendentisti catalani – all’inizio della loro folle corsa indipendentista – che lo appoggiavano gli fanno mancare i voti sulla legge di bilancio, si dimette di nuovo, fa convocare nuove elezioni e le vince assicurandosi la maggioranza assoluta del Senato. Ma non è finita: non accetta ricatti da parte di Podemos per formare il nuovo governo e rinuncia al nuovo incarico, trascinando di nuovo il Paese alle elezioni. Sette mesi dopo le rivince, formando poi quel governo con la sinistra-sinistra di Podemos dal quale si è dimesso ieri, portando nuovamente la Spagna alle elezioni. Certo, il vento che spira anche in Spagna non è promettente per i socialisti, ma proprio per questa sua capacità di risorgere Pedro Sanchez è un gatto dalle molte vite, da tenere sotto osservazione e non sottovalutare.
ALBERT RIVERA: L’ABBRACCIO MORTALE CON LA DESTRA
Rivera è un altro bello della politica europea. Nato 1979 a Barcellona, avvocato, centrista, federalista europeo e liberale, Rivera fonda Ciudadanos nel 2006 in Catalogna, nel 2017 – dopo i moti indipendentisti e le dimissioni forzate del governo catalano imposte dal premier con l’appoggio dei socialisti e di Ciudadanos – li porta al governo della regione autonoma e nel 2018, l’anno dopo, alle elezioni nazionali elegge 57 deputati su 350, con un ottimo 15,9%. E’ l’astro nascente della politica spagnola, capace di dialogare in egual misura, a livello nazionale e locale, con i socialisti ed i popolari. La terza via o, verrebbe da dire, il terzo polo spagnolo. Commette però un errore che per lui sarà politicamente fatale: quando nel 2019 Sanchez, in cerca di voti per diventare premier, gli propone di far parte della maggioranza, dice ostinatamente di no e quando poco dopo il Paese ripiomba alle elezioni, da 57 deputati passa a 10: gli spagnoli non hanno capito quell’intransigenza che ha portato il Paese al voto (come non hanno capito un approccio eccessivamente duro e nazionalista contro gli indipendentisti catalani) e lo hanno punito. A quel punto si ritira dalla vita politica, ma quell’errore, confermato nei mesi seguenti da chi gli succede nelle scelte politiche nazionali (anche con qualche accenno di dialogo con l’ultradestra di Vox, gli amici di Giorgia Meloni per intendersi), porta quell’esperimento a morire: i risultati delle elezioni municipali di domenica scorsa, intorno all’1%, sono infatti così deludenti che il partito ha annunciato ieri che non parteciperà neppure alle elezioni di luglio. Insomma, l’intransigenza nel dire più no che sì e l’abbraccio mortale con i conservatori popolari saranno scelte che Rivera e i “ciudadanos” hanno pagato a carissimo prezzo. E non dimenticheranno.
ISABEL DIAZ AYUSO: IL CORAGGIO DELLA CHIAREZZA
Madrilena, classe 1978, presidente della regione autonoma di Madrid, è oggi davvero l’astro nascente della politica spagnola. Bella, brava, comunicativamente efficace (fin troppo, dicono alcuni), grande capacità di governo: Isabel ha tutte le caratteristiche per sfondare per ora a livello della capitale, ma ben presto anche a livello nazionale. Ed infatti alle ultime elezioni di domenica scorsa nella regione di Madrid ha stravinto, raggiungendo la maggioranza assoluta dei seggi che gli garantiranno continuità di governo per i prossimi 4 anni, senza dover ricorrere ai discussi (e discutibili) voti dell’ultradestra di Vox. Discussi anche da lei, giacché negli ultimi 4 anni Vox è stata spesso di impiccio per gran parte dei suoi progetti di legge, uniti come erano più dall’avversione per la sinistra e le sue politiche che da un progetto di governo comune: e così gli elettori della capitale hanno premiato la Ayuso e lasciato al palo Vox. Ma con Vox – partner preferenziale per le alleanze, così lei stessa li ha definiti l’altro ieri – dovrà venire a patti fuori da Madrid, nel mentre Sanchez ha aperto la partita delle elezioni di luglio. Sullo sfondo rimane il grande dilemma delle elezioni europee dove Vox, membro del gruppo dei conservatori di ECR, ultranazionalista ed anti Europa, forza dichiaratamente anti abortista e anti LGBT, sarà una forza chiave per quella voglia di alleanza tra popolari e conservatori che alcuni accarezzano e che non si sa ancora se andrà in porto. Tanto più che da Renew Europe e dai suoi due partiti, EDP e ALDE, sono arrivati solo dei secchi no. Chi guiderà i popolari alle elezioni di luglio? Troppo madrilena e troppo conservatrice dicono di lei molti popolari, erede di Trump in Spagna dicono i più critici, facendo riferimento all’aggressività con cui normalmente affronta i suoi avversari: ed infatti per ora Ayuso rimarrà al governo della capitale lasciando il campo all’attuale leader, il più tranquillizzante Núñez Feijóo. Ma se le cose non andassero benissimo a luglio, chissà che non sia lei a prendere le redini del partito nazionale, spalancando così le porte a un rapporto a Bruxelles tra Popolari ed Ecr. Lei è pronta, il quadro politico spagnolo chissà.
© Riproduzione riservata