In molti si sono affrettati a definirla “Superlega sul modello Nba”, compreso il segretario del Partito Democratico Enrico Letta. Ma la nuova competizione per club calcistici annunciata domenica sera da dodici top club europei tra i più famosi, ricchi e titolati, tra cui le italiane Juventus, Inter e Milan, è davvero la Nba del calcio?

I club fondatori della Super League, ovvero Liverpool, Manchester City, Chelsea, Arsenal, Tottenham, Manchester United, (della Premier League inglese) Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid (della Liga spagnola), Juventus, Inter e Milan (della Serie A italiana), puntano effettivamente ad un modello che in alcuni aspetti ricalca quello del campionato americano di basket.

Oltre ai 12 fondatori sono attesi nei prossimi giorni i nomi degli altri tre club che parteciperanno alla Super League senza “retrocedere”, più altre cinque che potranno partecipare in base al merito sportivo della stagione precedente. In questo la formula sembra apparentemente avvicinarsi al modello americano non solo della Nba, ma anche della NFL di football, dove il campionato non prevede alcuna retrocessione.

Le somiglianze nel format però finiscono qui. Il punto fondamentale che spesso viene dimenticato è che la Super League progettata da Florentino Perez, presidente del Real Madrid, non andrebbe a sostituire i campionati nazionali, bensì l’attuale Champions League organizzata dalla UEFA. È una questione fondamentale perché, negli Stati Uniti, la Nba è l’unico campionato professionistico di basket formato da 30 franchigie che non possono retrocedere, ma al massimo ‘trasferirsi’ da città in città, con il caso celebre dei Seattle Supersonics che dopo la stagione 2007-2008 vennero spostati ad Oklahoma City, prendendo il nome di Oklahoma City Thunder.

Altra differenza macroscopica nel paragone tra Super League ed Nba riguarda un caposaldo del basket americano, ovvero il “salary cap”, il tetto salariale. Si tratta di un complicato sistema per regolamentare l’ammontare complessivo di denaro che ogni franchigia può utilizzare per gli stipendi dei propri giocatori, un modo utilizzato nella Nba per garantire, almeno in teoria, che non vi siano squilibri tecnici ed economici dovuti a diverse disponibilità finanziarie.

In Super League non vi è traccia di un “salary cap”, con i diversi club che potranno decidere autonomamente quanto spendere negli ingaggi dei calciatori, arrivando magari a superare le cifre già astronomiche incassate da stelle come Messi, che al Barcellona guadagna oltre 30 milioni di euro netti all’anno.

Restando nell’ambito del basket, la Super League pare somigliare maggiormente ad un’altra competizione, ovvero la Eurolega. La “Champions League” del basket europeo, che vede la presenza della Armani Milano come rappresentate dell’Italia, non ha infatti un sistema di tetto salariale e si basa su un sistema di “licenze” che la Lega garantisce ai top club e inviti.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia