Aveva solo 10 anni quando nell’ottobre del 1941, rifugiandosi in una cantina di Mariupol, riuscì a salvarsi dai nazisti. Ottant’anni dopo, è morta in quegli stessi sotterranei: il luogo in cui, questa volta, si era rifugiata per nascondersi dagli invasori russi. Vanda Semyonovna Obiedkova, 91 anni, è deceduta il 4 aprile dopo settimane senza luce e acqua, tra il freddo e la mancanza di cure mediche, nella città simbolo della resistenza del popolo ucraino. 

A raccontare la sua storia è la figlia Larissa su Chabad.org.Perché sta succedendo tutto questo?” chiedeva con un filo di voce Vanda, superstite dell’Olocausto che, nella sola area di Mariupol, causò tra i 9.000 e i 16.000 morti. 

Il racconto della figlia Larissa

Nelle ultime due settimane l’anziana donna non riusciva neanche a muoversi. “Dopo tutto l’orrore che aveva vissuto durante la persecuzione nazista non meritava di morire così ha raccontato tra le lacrime la figlia Larissa. Lei, insieme alla sua famiglia, ha potuto lasciare la città rasa al suolo dai russi solo all’inizio di questa settimana, grazie a uno dei pochi e fragili corridoi umanitari, aiutata della locale comunità ebraica guidata dal rabbino Mendel Cohen. 

“Quando sono iniziati i bombardamenti massicci, ci siamo trasferiti in cantina, ma non c’erano riscaldamento, acqua, elettricità.” Larissa ha cercato di prendersi cura della madre immobile a letto, “ma non c’era niente che potessimo fare per lei– ricorda- Abbiamo vissuto come animali”. Andare a prendere l’acqua era rischioso: due cecchini si erano piazzati vicino alla fonte più facilmente raggiungibile. “Eravamo bersagliati dalle bombe e la casa tremava. Mia madre mi diceva che non ricordava nulla di simile dalla seconda guerra mondiale”

Nata nel 1930, Vanda era una bambina di 10 anni quando nell’ottobre del 1941 i nazisti occuparono Mariupol e iniziarono a rastrellare e deportare gli ebrei. Quando le SS arrivarono a casa sua, uccisero sua madre Mindel. Lei, nascosta nella cantina di casa, non riusciva a parlare per la paura: “Quel silenzio la salvò”, spiega Larissa. Il padre di Vanda non era ebreo: convinse i tedeschi che la bimba fosse greca e la portò in un ospedale, dove rimase fino alla liberazione della città nel 1943. Vanda si sposò nel 1954, quando Mariupol era stata ribattezzata dai sovietici Zhdanov. 

Vanda amava la sua città, che non aveva mai voluto lasciare, neanche con la guerra. Ed è lì che la figlia ha voluto almeno darle una degna sepoltura, sfidando i bombardamenti insieme al marito. Ora sua madre riposa in un parco pubblico, non lontano dal mare d’Azov.

“Mariupol è un cimitero”

La testimonianza di Larissa descrive l’inferno e l’orrore della guerra in Ucraina, dove i civili continuano a morire. Lei, che ora è lontana dalle sue atrocità, dice che non tornerà a Mariupol. “Non c’è più una città, non ci sono case, non c’è nulla. È tutto perso, perché  ritornare?” afferma.

Mariupol è una città fantasma, completamente distrutta dai russi. Come sottolinea il rabbino Mendel Cohen, ormai è “un immenso cimitero”.