«C’è speranza che la guerra finisca». Svetlana Gannushkina riflette sugli spiragli di pace che sembrano riverberarsi fra le coltri del conflitto in corso in Ucraina, complice anche un rinnovato attivismo statunitense e un’indifferibile ricerca identitaria di parte europea. Nonostante la tragica scomparsa del papa, le speranze erano state rinfocolate dall’annuncio del presidente russo Vladimir Putin, concernente una tregua di trenta ore per Pasqua, e dalla dichiarazione di disponibilità a partecipare a nuovi colloqui di pace. Classe 1942, Gannushkina è attivista per i diritti dei migranti rifugiati in Russia e fondatrice del Centro per i diritti umani dell’associazione Memorial, Premio Nobel per la Pace nel 2022.

Gannushkina, come giudica la dichiarazione, da parte di Putin, di una tregua pasquale di trenta ore e la sua disponibilità ad avviare nuove trattative di pace in sinergia con gli Usa, oltre allo scambio di circa 500 prigionieri di guerra da entrambe le parti?
«Il rilascio dei prigionieri non può che essere una buona notizia. Sono felice per tutti loro, indipendentemente dalla fazione a cui appartengono. Di solito si tratta di ragazzi che diventano vittime delle ambizioni dei politici e, in questo momento, i politici del mio Paese sono Putin e il suo entourage. Per quanto riguarda le trattative con Trump, posso solo aspettare e vedere a cosa porteranno».

A suo avviso, cosa caratterizza queste rinnovate relazioni bilaterali tra Usa e Russia?
«Per quanto riguarda i negoziati condotti da Donald Trump, è evidente che il presidente statunitense sia più vicino a Putin che a Zelensky. Le ragioni personali sono molteplici, ma è impossibile prevedere cosa dirà o farà domani».

Come si potrebbe definire la posizione assunta dal tycoon?
«È chiaro che da una parte voglia manifestare la propria comprensione nei confronti del leader del Cremlino, mentre, dall’altra, rimarcare la propria influenza su di lui. Se da tutto ciò dovesse scaturire qualcosa di positivo, sarebbe un risvolto vantaggioso, ma non credo che Trump rinuncerà a rivendicare la propria preminenza nel corso dei loro confronti. Questi due leader non riconoscono il valore dell’uguaglianza e dell’equanimità. Purtroppo le loro qualità personali imprimono un impatto negativo sulle relazioni internazionali – in particolare sui rapporti tra Russia e Stati Uniti – quindi, per ora, non è il caso di aspettarsi un “per sempre”».

Cosa ne pensa riguardo la richiesta, avanzata in passato da Washington al Cremlino, relativa a una tregua di trenta giorni?
«Se la gente non muore per trenta giorni, come si potrebbe non sostenere questa iniziativa? È in questo contesto che dovrebbe iniziare il processo negoziale. Se avrà almeno un minimo di successo e si rivelerà promettente, la tregua durerà».

Come vede il futuro politico di Volodymyr Zelensky?
«Non posso far altro che augurargli buona fortuna. Ha già lasciato il segno nella storia, e nel momento più difficile per la sua patria. Era un grande artista, questo ambito non gli sarà mai precluso. Quando arriverà la pace, Zelensky dovrà scegliere se restare in politica o tornare sulla scena».

L’Unione Europea si prepara a predisporre una difesa comune. Basterà per riacquistare centralità nei negoziati e, più in generale, nel contesto internazionale?
«È difficile dirlo. Tutto dipenderà da quanto chiaramente saranno formulate e accettate le priorità comuni da tutti i membri dell’Unione europea. L’Ue è molto eterogenea. Una volta ho scritto che era imprudente accettare così frettolosamente nuovi membri nell’Unione. Nei vecchi Stati d’Europa si stanno perdendo valori che comunemente vengono chiamati europei, anche se io li definirei universali. Nonostante la tendenza sia deprimente, i partiti di destra stanno guadagnando voti. Non si può che sperare in un ritorno ai diritti umani e alla priorità del diritto internazionale».

Una pace stabile e duratura potrebbe quindi essere vicina?
«Temo che la pace non arriverà così presto. Il processo di negoziazione sarà molto lungo e le decisioni dovranno essere prese gradualmente. Naturalmente, la liberazione dei territori occupati dalla Russia – in particolare la Crimea – e il ritorno dei bambini portati via e adottati, rappresentano i problemi più difficili. Con il passare del tempo diventano sempre più complessi e il ricordo di ciò che accadde rimarrà impresso per molte generazioni. Una follia – non esiste altro nome per definirla – sta conducendo il nostro Paese, e forse il mondo intero, al disastro. Dobbiamo unire tutte le forze sane per impedirlo».