Tutt'altro che trasparenza
Landini, in conferenza stampa, fa la vittima ma non chiarisce: che fine fanno i soldi della CGIL?
Il denaro proviene dalle quote degli iscritti e dalle trattenute sulle buste paga di milioni di lavoratori. Eppure, secondo il sindacalista, “Sono della Confederazione e basta”. Ecco perché chiedere trasparenza ed esigere di conoscere le finalità di spesa e i beneficiari non dovrebbe risultare come un dito nell’occhio
Maurizio Landini ha la coda di paglia? Indice una conferenza stampa per “Rispondere agli attacchi politici”, poi però davanti ai giornalisti non chiarisce un solo punto sulle osservazioni che Il Riformista gli ha mosso.
Ci accoglie per farci sapere, piccato, di sentirsi “sotto attacco”. Anzi, di più: “Sotto un attacco politico mai visto prima”. L’assalto alla sede di Corso Italia dunque era poca cosa, rispetto alle inchieste giornalistiche. Se la prende con Fratelli d’Italia, che sui licenziamenti e le spese ha ripreso il nostro materiale per rivolgere una interrogazione parlamentare alla ministra del Lavoro, Marina Calderone. E invece di usare l’occasione per fare un’operazione di trasparenza, si limita a gridare una difesa d’ufficio, a sfoderare l’arma spuntata della propaganda. Sul caso del licenziamento di Massimo Gibelli “agli atti delle strutture ministeriali non risultano specifiche segnalazioni”, ma “il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali vigilerà sulla vicenda segnalata e, come per tutti i datori di lavoro, verranno svolti gli opportuni controlli di legge”, risponde Calderone durante il question time. Una risposta in punta di penna. Ma fa niente: apriti cielo! “Vigileremo noi sul governo!”, tuona Landini. “Noi siamo una realtà democratica, il più grande sindacato d’Europa”, dice in un crescendo rossiniano.
I cronisti si guardano tra loro: ci ha convocati per dirci che nessuno può e deve fargli i conti in tasca? Sì, ma non solo: una notizia in effetti la dà. Gianni Prandi, il compagno di scuola di San Polo D’Enza, aiuta la comunicazione CGIL, sì, ma lavora gratis. C’è stato lui dietro all’impostazione generale del nuovo assetto della comunicazione CGIL, sì. Ma non è mai stato pagato. “Da noi non ha visto neanche una lira”, si sbraccia Landini. “Male”, gli facciamo notare: i lavoratori si pagano. Chiedere una consulenza, e realizzarne il progetto senza pagarlo, come si può definire in termini sindacali? Landini incassa e nicchia. Anche perché se quell’imprenditore si dovesse anche occupare – così per fare una ipotesi, al di fuori della CGIL – della campagna di comunicazione di una qualche realtà che ha avuto a che fare con trattative sindacali, ricollocazioni di personale, esuberi, i maligni potrebbero perfino ricordarsi che esiste la fattispecie della “procurata altra utilità”, nel campo dei benefici derivanti da prestazioni professionali non retribuite.
Rimaniamo sulle certezze: avere a disposizione i dati di cinque milioni di persone significa un tesoro, in termini di profilazione. E torniamo a Corso Italia: nella sontuosa sala “Di Vittorio” ci saranno state una sessantina di persone; i giornalisti sono una dozzina, intorno a noi soprattutto dirigenti e funzionari del sindacato che sono venuti a sostenere il Segretario, a fargli vedere che ci sono. Landini fa sedere accanto a sé Alberto Cassandra, da trent’anni nell’ufficio stampa CGIL anche se non è iscritto all’Ordine dei Giornalisti. Speriamo che almeno lui venga pagato. Vengono proiettate delle slide a mò di diapositiva in bianco e nero dell’Italia che non va. Quando Landini accenna al Jobs Act lo fa per dire che non c’entra nulla con i contratti interni al sindacato. E quanto allo strombazzatissimo referendum per abolire il Jobs Act, sirena che ha risvegliato perfino Sergio Cofferati, adesso i torni di Landini si fanno sfumati: “Nei prossimi mesi valuteremo quali iniziative intraprendere su quelle leggi balorde”. E dopo che per una buona mezz’ora il Segretario generale mena il can per l’aia, raccontando che in Italia c’è l’inflazione e che purtroppo si muore sul lavoro (tutto vero, ma lo sapevamo già) ci permettiamo di fargli qualche domanda anche noi.
Se il portavoce è un lusso superfluo e Gianni Prandi non è mai stato pagato, che fine fanno i 2.700.000 euro che vediamo sul bilancio alla voce comunicazione? La Radio che c’era fino al 2019, oggi non c’è più. Massimo Gibelli, il portavoce che secondo Landini costava troppo, percepiva 57.000 euro lordi all’anno. Dove vanno a finire quei milioni di euro? “I soldi della Cgil vengono spesi dalla Cgil”, scandisce su di tono, Landini. Constatazione inoppugnabile. Ma come? “Li usiamo per tutte le esigenze di comunicazione, per esempio…”, si interrompe Landini. Poi ha una trovata: “Per esempio ci stampiamo le tessere. Per milioni di iscritti. Spendiamo circa trecentomila euro per farlo e la spesa della tipografia va sempre sotto la voce Comunicazione”. Una verifica puntuale, però, è impraticabile: il bilancio pubblico si compone di capitoli sommari e non è possibile leggere voce per voce, fattura per fattura. Altro che trasparenza. E Landini vede rosso ogni volta che si pretende di fare chiarezza in quei conti.
I soldi della CGIL che secondo Landini sono della CGIL e basta, provengono in realtà dalle quote degli iscritti e dalle trattenute sulle buste paga di milioni di lavoratori. Ecco perché chiedere trasparenza ed esigere di conoscere le finalità di spesa e i beneficiari non dovrebbe risultare come un dito nell’occhio. La ministra del lavoro, Calderone preciserà, a seguito della conferenza stampa: “Non c’è nessuna intenzione di vigilare sul sindacato in quanto tale, anzi siamo assolutamente consapevoli che il principio della libertà sindacale deve essere tutelato. Ma ho l’obbligo di non essere reticente”. Reticenze e omertà che non possono trovare asilo nelle pieghe del “segreto d’ufficio”. Chiediamo conto a Landini di quell’Assemblea generale che ha recentemente approvato un regolamento che vieta le sessioni aperte e le comunicazioni pubbliche – men che meno, social – dei lavori. Landini non conferma e non smentisce: “Mi sembra normale che ogni organizzazione decida cosa rendere pubblico e cosa no, alle volte andiamo in streaming”, dice. A noi risulta un verbale che attesta tutt’altro: l’espresso divieto di usare registrazioni audio e video durante le riunioni. Se il clima è quello di questo incontro stampa, versa sul gelo rigido. Dopo quattro domande, i giornalisti vengono liquidati. Usciamo avendo più dubbi di quando siamo entrati. E una certezza: in questa gestione qualcosa non torna.
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