Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha deciso di tirare dritto. Dopo il voto con cui il governo ha confermato il licenziamento di Ronen Bar, il capo dello Shin Bet, ieri Bibi ha ribadito di dover essere lui a decidere sul futuro dell’agenzia. E pur garantendo che non vi sarà alcuna “guerra civile”, il premier ha voluto mettere in chiaro che sarà lui a dire chi guiderà i Servizi e non la procuratrice generale, Gali Baharav-Miara. Colei che, dopo la sospensione del siluramento di Bar da parte dell’Alta corte di giustizia, ha vietato a Netanyahu di procedere alla nomina del successore. E che domenica potrebbe subire il voto di sfiducia.

La rabbia

Il ministro della Sicurezza interna, Itamar Ben-Gvir, fresco di rientro nella maggioranza, ha addirittura chiesto una “riforma della giustizia subito!”. Tema che rischia di far esplodere ancora una volta la rabbia della cittadinanza israeliana. Mentre il ministro della Giustizia, Yariv Levin, ha detto all’alta funzionaria che “sotto la sua guida, l’ufficio del procuratore generale è diventato un’autorità politica tirannica, che agisce come il lungo braccio dell’opposizione”. “Il suo comportamento inappropriato e l’esistenza di disaccordi sostanziali e prolungati che creano una situazione che impedisce un’efficace cooperazione”, ha gridato Levin.

Un nuovo fronte interno

E ora per il governo a guida Likud si apre un nuovo pericoloso fronte interno. Fronte che si unisce a quello della rabbia per Bar e per la ripresa della guerra nella Striscia di Gaza. Scelte che una parte consistente dell’opinione pubblica non apprezza (quantomeno non nei modi e nei termini scelti dal premier) ma con cui Netanyahu sembra voler andare fino in fondo.

L’ospedale attaccato

Nell’enclave palestinese, da dove ieri sono partiti di nuovo dei razzi di Hamas (questa volta verso Ashkelon), l’Idf ha continuato anche ieri le sue operazioni di terra. Su X il portavoce delle Israel defense forces, Avichay Adraee, ha intimato agli abitanti del Nord di Gaza di lasciare tre aree: al-Salatin, al-Karama e al-Awda. Mentre le stesse forze armate hanno confermato ieri di aver distrutto l’ospedale dell’Amicizia turco-palestinese nella parte centrale della Striscia.

Dai comandi israeliani hanno ribadito che quello che è stato attaccato era un edificio usato come “infrastruttura terroristica” e che “non era utilizzato come ospedale attivo da oltre un anno”. Ma secondo Al Jazeera, il Turkish Friendship Hospital for Cancer Patients era in realtà l’unica struttura nella Striscia di Gaza, proprio nei pressi del corridoio Netzarim, a fornire cure oncologiche. “Condanniamo fermamente la distruzione dell’Ospedale dell’Amicizia turco-palestinese”, si legge in una dichiarazione del ministero degli Esteri di Ankara, che già in precedenza aveva duramente criticato gli attacchi che avevano preso di mira l’ospedale (ieri i video circolati sui social sembrano più che altro mostrare una demolizione controllata).

Ma l’esercito dello Stato ebraico non sembra intenzionato a fare alcuna marcia indietro. E la conferma è arrivata dallo stesso ministro della Difesa, Israel Katz, che ieri ha minacciato Hamas di ulteriori gravi conseguenze qualora non dovesse rilasciare gli ostaggi israeliani ancora trattenuti a Gaza. “Ho dato ordine all’Idf di conquistare ulteriori territori, evacuare la popolazione ed espandere la zona di sicurezza intorno a Gaza per la protezione delle comunità israeliane e dei soldati, attraverso il controllo permanente dell’area da parte di Israele”, ha comunicato il ministro della Difesa. E “più Hamas continuerà a rifiutarsi di rilasciare gli ostaggi, più sarà il territorio che perderà e che verrà annesso a Israele”. Dichiarazioni dure, che hanno scatenato l’immediata reazione anche della comunità internazionale. In primis della Francia, che ha condannato qualsiasi ipotesi di annessione da parte israeliana di zone di Gaza o della Cisgiordania. Ma le frasi del ministro della Difesa certificano come il governo di Netanyahu sia intenzionato ad adottare qualsiasi tipo di pressione su Hamas.