La distanza tra le parole e i volti. La differenza tra la scena e la messinscena. Se leggi le dichiarazioni la giornata è “storica” (presidente Fontana), una “pietra miliare” (Zaia), il “primo passo verso il traguardo storico” (ministro Calderoli). Matteo Salvini, assente nell’aula del Senato che ieri alle 18 e 30 ha votato il primo via libera alla legge sull’Autonomia regionale differenziata, evoca anche lui la “solennità del momento” perché il voto è “un passo importante verso un Paese più moderno ed efficiente”. Così solenne, il momento, che è il caso di dedicarlo a chi non c’è più ma ha lottato tanto per arrivare ad oggi come Roberto Maroni. Le parole, appunto. Vista dall’aula del Senato questa giornata storica è invece un pomeriggio, anzi un paio d’ore da liquidare in fretta e con un certo imbarazzo. Da parte delle opposizioni, certamente, che l’hanno smontata pezzo dopo pezzo dimostrandone la pericolosità per l’unità nazionale. La legge prevede infatti che le singole regioni possano chiedere la gestione autonoma di 23 materie concorrenti, dall’istruzione alla tutela dell’ambiente, dai rapporti internazionali al commercio con l’estero, dalla tutela della salute alla previdenza complementare e integrativa passando per il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

Autonomia regionale, una scatola vuota: mancano i soldi per farla camminare

L’imbarazzo è stato evidente anche nella maggioranza. I più convinti sono certamente i leghisti ma, a parte i banchi del Senato mezzi vuoti, anche loro sanno che stanno votando “una legge quadro”, una scatola vuota, un ologramma della tanto attesa riforma visto che mancano i soldi per farla camminare. E senza quei soldi – che neppure il Mef ha potuto né voluto stimare – l’Autonomia è una finzione. Un avatar. “Boh, si dai – smorza i toni il capogruppo Romeo mentre entra a palazzo Madama – oggi è l’inizio di un percorso, siamo in prima lettura, poi ci sarà la seconda e magari anche una terza. Mancano le coperture per garantire i Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) senza i quali la legge quadro di oggi non può diventare operativa. Abbiamo comunque 24 mesi di tempo, che altrimenti perdiamo i fondi del Pnrr”. Che, secondo Romeo, con molto ottimismo, dovrebbero finanziare la legge. Poi dopo, nella dichiarazione di voto, il capogruppo è stato più enfatico e convincete ma c’era la diretta tv e bisognava parlare al nord leghista della prima ora.

Molto meno convinti sono Forza Italia e Fratelli d’Italia. I senatori Occhiuto (FI) e De Priamo (FdI) hanno fatto il possibile per celare l’imbarazzo e spiegare ai propri elettori, del sud, che in realtà l’Autonomia sarà “un’opportunità” e che “grazie ai nostri emendamenti abbiano evitato limitazioni di risorse per le singole regioni specie del sud”. Uno degli undici articoli prevede in realtà che le regioni possano almeno in parte trattenere il gettito fiscale. Quindi è chiaro che ci saranno meno risorse per le regioni del sud il cui gettito fiscale è inferiore a quello delle regioni del nord e anche del centro. Così quando Romeo nel finale si è rivolto ai banchi degli alleati e li ha ringraziati, con tono anche un po’ provocatorio, “per aver rispettato il patto di maggioranza” con i suoi senatori in piedi e gli altri seduti e anche distratti, la messinscena è andata in frantumi e la scena è tornata protagonista.

Autonomia, il patto elettorale nella maggioranza con premierato e separazione carriere

Il primo voto alla legge sull’Autonomia regionale – entro gennaio come promesso – è né più né meno, come dice il senatore Andrea Giorgis (Pd) “il frutto di un patto elettorale dove la Lega alza questa bandiera, Fratelli d’Italia il premierato e Forza Italia la separazione delle carriere tra giudici e pm. Il risultato di questo baratto è l’aumento delle disuguaglianze nel paese”. Il re è nudo. “Vi chiameremo Fratelli di mezza Italia”, li provoca il senatore De Cristofaro (Avs); “Oggi cade la maschera dei patrioti di maggioranza”, dice la senatrice Castellone (M5S). La legge, così come è concepita, non può in realtà che dividere l’Italia quando mai un giorno dovesse essere operativa e aver trovato i soldi per finanziare i Livelli essenziali delle prestazioni sociali e sanitarie garantite dalla nostra carta costituzionale. “Italia viva ha votato contro l’Autonomia differenziata perché questa è una norma scritta male, pasticciata, inapplicabile”, ha detto il senatore Borghi.

“Dal punto di vista pratico – ha continuato – il ddl Calderoli rischia di creare un aumento della burocrazia e delle imposte. Siccome tutto questo deve avvenire ad invarianza di trasferimenti statali, per reperire le risorse a livello regionale si farà ricorso a Pantalone. E inoltre – spiega ancora Borghi – siccome le attività produttive sono tra le materie su cui è possibile chiedere l’Autonomia, si andrà incontro al paradosso per il quale un imprenditore che vuole investire in 5 regioni, potrebbe trovarsi di fronte a 5 legislazione diverse. Più tasse, più burocrazia e più inefficienza: la vera Autonomia è un’altra cosa”. Il Pd alza in aula tanti tricolori. Dopo il voto dai banchi del centrosinistra si alzano i cori con l’Inno di Mameli. Per Fratelli d’Italia è il mondo al contrario. Ma non possono farci niente. Zitti e passare oltre. Il più in fretta possibile. Da notare che alle ore venti di questa giornata memorabile, Giorgia Meloni non ha fatto neppure un post.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.