C’è un numero che leva il sonno a Salvini, Crippa, Durigon e i suoi fedelissimi: 7 per cento. I sondaggi interni commissionati dalla Lega sono impietosi, quasi due punti in meno delle politiche di settembre 2022 quando il partito di Salvini toccò l’8,7%. Non è la Sardegna, la Basilicata, il principio della “continuità” con gli uscenti, se gli uscenti hanno fatto bene, e quindi il terzo mandato per i Presidenti di regione. Intendiamoci, tutto questo conta ma viene dopo. Prima arriva e pesa questo numero, la percentuale di consensi stimata per le Europee che potrebbe inchiodare la Lega addirittura a pari merito con Forza Italia. Sarebbe la Caporetto, per Salvini e per la Lega. Scenario da combattere in ogni modo e con ogni mezzo. Tutto il resto è corollario.

Ed ecco che il vero core business del segretario in questo momento è trovare i front men da mettere capolista nelle cinque circoscrizioni italiane per il Parlamento europeo. E tentare di rimpinguare voti e risalire un po’ nel consenso. Ecco perché l’attenzione dei leghisti ieri non era tanto sull’atteso vertice a tre a palazzo Chigi prima del Consiglio dei ministri da dove doveva arrivare la fumata bianca sulle regioni. La fumata non c’è stata. Ne hanno parlato per pochi minuti “senza chiudere”. In realtà il caso è già chiuso: la Sardegna a Fratelli d’Italia con l’Abruzzo, la Lega si terrà l’Umbria e Forza Italia il Piemonte. Tajani dovrà fare un passo indietro, così come Salvini, sul Molise e l’uscente Vito Bardi per cedere il passo ad un civico di area di destra. Gli alleati, Lega e Forza Italia, devono accettare il principio della nuova geografia interna dove Meloni comanda e dà le carte perché ha il 28 per cento e gli altri sono sotto il dieci. Poi ufficialmente ciascun leader recita la sua parte in commedia ma i giochi sono fatti tanto che tutti concordano: “Il centrodestra non si rompe per la Sardegna”. E neppure per il Molise.

Circa le compensazioni, la Lega si dovrà “accontentare” della legge sull’Autonomia regionale (“scambio vergognoso”, attaccano le opposizioni), che sta trascinando il governo nello scomodo ruolo di “nemico del sud”. Zaia dice a Salvini di non mollare sul terzo mandato. E questa può essere una battaglia di cui si potrà tornare a parlare dopo giugno.
L’attenzione dei padani dunque era, è e sarà nei prossimi giorni sulla risposta che il Generale Vannacci sta facendo sospirare come una vera prima donna circa il suo ingaggio come capolista della Lega alle Europee. E sull’attività di scouting che il sottosegretario Durigon, un altro dell’inner circle di Salvini, sta mettendo in campo al sud per ingaggiare Mr Preferenze locali in grado di blindare interi pacchetti di voti. Uno è già pronto: si chiama Aldo Patriciello, è un imprenditore molisano nel settore della sanità, e nel 2019, quando correva con Forza Italia portò 110mila preferenze. Poi è successo qualcosa con Tajani e Patriciello ha bussato alla porta della Lega che, ben contenta, ha accolto l’imprenditore a braccia aperte.

Ora, poiché i governatori – Zaia, Fedriga e Fontana – che sono le vere superstar della Lega hanno declinato l’invito a candidarsi per coerenza e serietà, Salvini è costretto a cercare nomi-civetta in grado di trascinare le liste. Da qui il corteggiamento sfrenato a Vannacci. Ma anche il profondo malcontento nella base del partito che preferirebbe puntare su nomi interni, prima fra tutti gli uscenti dell’europarlamento che invece Salvini ha in gran parte già abbandonato. Vannacci è, per Salvini, il nome giusto per l’operazione simpatia/consenso. Lo ha spiegato lunedì durante il Consiglio federale: “Ha seguito, può fare da solo il 3 per cento, dice cose che molti pensano e però messe al bando dal politicamente corretto. Ecco perché può funzionare come capolista in ogni circoscrizione”. Il suo “Mondo al contrario”, dalla guerra ai gay (“se avessi un figlio cercherei di orientarlo ad essere etero, invece qui siamo circondati da film e situazioni dove i gay sono protagonisti”) alla lotta agli immigrati, passando per l’uso dei vaccini e i rapporti con la Russia, può essere il nuovo manifesto della destra leghista che occhieggia in Europa a Le Pen e Afd e, invece, sta perdendo aderenze in Fratelli d’Italia costretta ad avere un profilo più istituzionale.

Salvini semina. I suoi raccolgono. “Candidare Vannacci è una scelta che credo possa essere sicuramente importante, è una persona che sta cercando di combattere il pensiero unico”, ha detto ieri Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia. Vannacci “perché no?”, è la risposta che arriva in Transatlantico da fedelissimi di Salvini come Crippa e Toccalini. “Con Vannacci c’è sicuramente feeling, c’è compatibilità di idee e di visione politica. Per lui, le porte del partito sono aperte perché la pensa come noi”.
Salvini, del resto, non fa altro che strizzare l’occhio all’integralismo cattolico, ai movimenti Pro Vita, antiabortisti. Come fa Trump negli Stati Uniti. La vittoria a mani basse dell’ex presidente Usa nell’Iowa, primo caucus elettorale, è merito dei movimenti evangelici. Ieri Salvini è stato il primo e l’unico a complimentarsi con The Donald via social appena sono stati ufficiali i risultati. Il partito di governo che aspetta in ginocchio la disponibilità del Generale non è una scena dignitosa. Ne sono convinti molti leghisti che però devono nascondere rabbia e scetticismo. “Così spacchiamo tutto – è il ragionamento condiviso – abbiamo trenta eurodeputati, se ci va bene ne riportiamo nove, più facile otto, possibile che non riusciamo a dare continuità a nove di quei trenta? Possibile che abbiano fatto tutti schifo?”. E perché la continuità che Salvini reclama per le regionali non vale anche per le Europee? Domande legittime. Possibile se i nomi considerati sicuri sono quelli di tre eurodeputate, Sardoni, Tovaglieri e Ceccardi, e del capogruppo Marco Zanni. Gli altri saranno sostituiti dei nuovi front man. A cominciare da Vannacci. Se accetterà.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.