Negli ultimi tre anni l’economia italiana ha letteralmente battuto ogni previsione e spiazzato ogni genere di “gufi” e di profeti di sventura, salvo qualche ostinato irriducibile. Il PIL italiano è aumentato quasi dell’11% in un biennio: +10,9%. Del 7% nel 2021 e del 3,7% nel 2022. Secondo i dati dell’ultimo “World Economic Outlook” di aprile del Fondo Monetario Internazionale (FMI) in entrambi gli anni l’economia italiana è cresciuta di più di quella mondiale nel suo complesso (+6,3% e +3,4%, rispettivamente), nonché della media dei paesi avanzati (+5,4% e +2,7%), mentre è progredita di più del tasso medio dei paesi emergenti nel 2021 e solo di tre decimali in meno nel 2022 (+6,9% e +4%).

Nel 2022 quasi tutte le maggiori economie del mondo sono cresciute di meno di quella italiana: gli Stati Uniti (+2,1%), il Canada (+3,4%), la Cina (+3%), il Giappone (+1,1%), la Corea del Sud (+2,6%), la Germania (+1,8%), la Francia (+2,6%), il Brasile (+2,9%), il Messico (+3,1%), il Sud Africa (+2%), la Nigeria (+3,3%), la Russia (-2,1%). A livello mondiale soltanto due grandi paesi emergenti a rapida crescita come l’Arabia Saudita (+8,7%) e l’India (+6,8%) hanno superato l’Italia. Mentre tra le maggiori nazioni europee hanno fatto meglio di noi solo la attardata Spagna (+5,5%), che ha tuttora recuperato molto meno dell’Italia la caduta del Covid19 avvenuta nel 2020, e il Regno Unito (+4%), che tuttavia era in forte ritardo dopo la pandemia ed è ora per di più avviato verso un 2023 in recessione (-0,3% la previsione del FMI per l’anno in corso).

In aggiunta, nel primo trimestre del 2023, secondo la stima preliminare dell’Istat, il PIL dell’Italia è cresciuto dello 0,5% rispetto all’ultimo trimestre del 2022, uno dei progressi più forti tra le grandi economie avanzate, davanti a Stati Uniti (+0,3%), Francia (+0,2%) e Germania (-0,1%). Ciò permette al nostro Paese di accumulare dopo solo tre mesi una crescita già acquisita per quest’anno dello 0,8%. Siamo dunque già oltre, per il 2023, alle stime di tutti i previsori e vicini all’obiettivo del +1% fissato dal governo Meloni nel Documento di economia e finanza (Def). Rispetto ai livelli di PIL del quarto trimestre 2019, antecedente la pandemia, l’Italia si trova già oggi sopra del 2,4%, nettamente davanti alla Francia (+1,4%), mentre Germania, Spagna e Regno Unito non hanno ancora recuperato in termini reali i valori pre-Covid19.

Qualcuno potrà forse sbalordirsi di questi dati. Ma la realtà è che dopo le riforme del governo Renzi (in primis il Piano Industria 4.0) e poi la “cura Draghi”, con la relativa dose di autorevolezza e fiducia trasmessa a imprese e famiglie, l’Italia non è più l’ultima in Europa per crescita, anzi è passata in testa. E ciò rende più facile anche gestire i conti pubblici. Le prime vere riforme che l’Italia abbia mai fatto dopo tanto tempo hanno già molto cambiato il nostro Paese e l’economia italiana sembra ora godere di un abbrivio che nemmeno il difficile scenario del 2022-2023, con la guerra russo-ucraina, il “caro-energia” e l’inflazione, ha potuto fermare.

L’Italia dei primi quindici anni del nuovo Secolo, che cresceva poco e veniva pronosticata in declino irreversibile sembra ormai un lontano ricordo. Il nostro Paese può vantare oggi un sistema produttivo notevolmente progredito in termini di produttività e competitività, con ben 1.500 prodotti circa in cui è tra i primi cinque posti al mondo per migliore bilancia commerciale con l’estero e un surplus commerciale complessivo, esclusa l’energia, di oltre 81 miliardi di dollari nel 2022. Gli investimenti in macchinari e attrezzature, grazie al Piano Industria 4.0, sono aumentati a tassi record, sia prima sia dopo la pandemia, e nel 2022 hanno toccato un massimo del 7,4% del PIL (contro il 6,6% della Germania e il 5,2% della Francia). La produttività dell’industria manifatturiera è cresciuta a tassi tra i più elevati tra le economie del G7. Il tasso di occupazione ha raggiunto percentuali storiche record, oltre la soglia del 60 per cento. E, per concludere, il debito pubblico italiano è quello cresciuto percentualmente di meno in valore nel triennio 2020-2022 tra le grandi nazioni avanzate del mondo.

Forse i positivi cambiamenti strutturali avvenuti nella nostra economia negli ultimi 8-9 anni, grazie soprattutto alle politiche e alle riforme dei governi Renzi e Draghi, non sono ancora stati compresi appieno. Sta di fatto che anche i previsori più autorevoli hanno continuato per tre anni di fila a sbagliare le previsioni sulla crescita del nostro PIL. I loro modelli previsionali necessitano evidentemente di una revisione in quanto ancora tarati sul vecchio paradigma di Italia dei 15 anni precedenti che arrancava dietro alle altre maggiori nazioni. Per capirci, ad inizio 2021 il FMI prevedeva per il nostro Paese una crescita del 3% (siamo finiti a +7%); sempre il FMI ad inizio 2022 pronosticava un +2,3% mentre lo scorso anno abbiamo chiuso a +3,7%; infine l’ultima previsione del FMI per il 2023 è di un +0,7% ma la nostra crescita acquisita dopo un solo trimestre è già dello 0,8%.

Il governo attuale, sul piano macroeconomico, ha sostanzialmente mantenuto la rotta tracciata da Draghi ed ha fatto bene. Da quando Draghi è diventato presidente del Consiglio ad oggi, il PIL italiano è aumentato di qualcosa come l’8,9% in nove trimestri, di 8,5 punti con Draghi e di 0,4 punti nei primi due trimestri del governo Meloni. Se l’Italia centrerà l’obiettivo di crescita del PIL dell’1% fissato per il 2023 dal Def, il nostro Paese metterà a segno un progresso record in tre anni del 12%. L’attuazione del PNRR è ora cruciale per completare il ciclo di riforme e investimenti di cui l’Italia abbisogna e per dare continuità al nuovo passo di crescita che sembra aver intrapreso la nostra economia.