Lega Nord? Lega No. Dalle elezioni europee del 2019, apice del salvinismo, al ‘Si salvi chi può’ di oggi il passo è stato breve. Se all’ultima tornata per l’Europarlamento la Lega aveva ottenuto oltre 9 milioni di voti e il 34,26% dei suffragi, oggi quel risultato va diviso per quattro.
YouTrend ieri ha effettuato una simulazione elettorale dalla quale risulterebbero eletti pochissimi eurodeputati leghisti. Il partito di Salvini porterebbe a casa solo 2-3 eletti nel Nord Ovest e 1-2 nel Nord Est. E a farlo digerire ai tanti candidati, all’apparato di partito, alla macchina degli attivisti e dei militanti non sarà facile.

Alberto da Giussano non difende più, spada sguainata, il Carroccio ormai vittima di se stesso: davanti a una Giorgia Meloni che cannibalizza tutto il consenso a destra, Matteo Salvini appare in impasse. Relegato al ruolo di Ministro dei Trasporti, appare maldestro nei manifesti in cui promette di «difendere le auto degli italiani».
I dissidi interni perdurano da tempo ma si sono fatti più pungenti, in queste ultime settimane, quando a tutti è parso chiaro che l’unica risposta alla crisi di consenso del leader Matteo Salvini è stata la chiamata della ‘legione straniera’, con l’ingaggio del generale Roberto Vannacci. La presentazione romana del libro del segretario leghista, «Controvento», è stata l’occasione per regalare ai giornali e alla rete una generosa photogallery di abbracci e pacche sulle spalle tra il generale Vannacci e Salvini. «Andiamo più a destra? Ma più a destra di così non si può», hanno scherzato i due con i fotografi. Più che foto opportunity, inopportunity. Le dichiarazioni di Vannacci ora omofobe e ora oltranziste, predicando addirittura il ritorno a classi separate per i diversamente abili e rivalutando il «Mussolini statista», hanno provocato una levata di scudi nella stessa Lega.

Da Zaia a Giorgetti, i malumori interni

Il ministro dell’Economia e Finanze, Giancarlo Giorgetti per primo e poi tanti altri si sono affrettati a prendere le distanze. «Non è della Lega», taglia corto il ministro delle finanze a proposito del Generale. Che replica: «Diatribe interne al partito che reputo più che legittime ma che non mi interessano». Vannacci non ha sfondato neanche con il Presidente del Veneto, Luca Zaia: “Vannacci in lista? Nessuna battaglia. Il Generale, come ama farsi chiamare, non è capolista ma sono scelte che ha fatto il partito”. Zaia dichiara di non essere d’accordo con alcune dichiarazioni di Vannacci: “Non condivido la proposta delle classi separate e la concezione di Mussolini come statista”. Poi ricorda che si tratta di un candidato da indipendente, non è con la Lega. “Se lo voterò? Mi sentirei un traditore a non votare un veneto”, ha concluso. E se guardiamo agli astri nascenti del Carroccio, lo scetticismo che investe direttamente Vannacci, finisce per riguardare anche lo stesso Salvini.

«Non condivido le idee del generale Vannacci, porto avanti le nostre idee di sostenibilità sociale e umana e credo questa sia la direzione giusta. Le parole del Generale, che è un candidato indipendente, lasciano il tempo che trovano». A dirlo è Mario Conte, sindaco di Treviso, presidente Anci Veneto e figura emergente della Lega, a margine della presentazione del festival della follia ‘Robe da mati’ organizzata da Sol.co, cooperativa che si occupa del recupero di disabili e fragili. Un contesto che da solo la dice lunga sulla distanza tra sensibilità diverse nella Lega. «La città di Treviso dà una risposta che va nella direzione opposta. Noi siamo per l’inclusione, per il sostegno e per il non giudizio. Io sto dalla parte dell’inclusione, sempre. La cooperativa che si occupa del festival è una realtà fantastica e magari se il generale Vannacci entrasse in contatto con loro, se conoscesse questa realtà, forse cambierebbe idea», ha punzecchiato Conte. Si torna a invocare un congresso vero, di quelli che potrebbero rovesciare la dirigenza. «Difficile, perché lo statuto della Lega lo esclude», aveva detto al Riformista Flavio Tosi.

Dalla Lega a Italia sicura

Se la Lega lo processasse, dopo le elezioni europee, Salvini sarebbe pronto a lanciare un nuovo marchio. Si chiamerebbe “Italia sicura” e i militanti lombardi ne parlano come di un paracadute in caso di lancio del leader fuori dalla cabina di pilotaggio.
La Lega sta perdendo pezzi in ogni regione, ma al Centrosud è un tracollo. Dai sindaci siciliani ai dirigenti calabresi, dagli assessori campani a quelli toscani, il cartello «Exit only» sembra campeggiare sulla sede di via Bellerio. Nelle ultime settimane sono stati innumerevoli i dirigenti locali e regionali a lasciare. Buon ultimo il capogruppo del Carroccio in Regione Umbria, Stefano Pastorelli. «Con profondo dispiacere annuncio la mia decisione di dimettermi dalla carica di capogruppo in consiglio regionale per Lega Salvini premier e di rinunciare al mio ruolo di sostenitore attivo della Lega, dopo oltre 17 anni di dedizione e impegno durante i quali ho affrontato stagioni più entusiasmanti e stagioni più dure», le parole di commiato di Pastorelli. In Sardegna, dopo il tracollo elettorale leghista, si è dimesso l’ex assessore regionale alla Sanità, Mario Nieddu, rimproverano in una lettera a Salvini di aver «tradito per prima la promessa di un nuovo modo di fare politica».

Via dalla Lega, inizia l’esodo

Nieddu è stato seguito da Andrea Piras, ex consigliere regionale sardo, che ha annunciato il suo passaggio all’Udc. «Ho rassegnato le mie dimissioni dal partito della Lega. Si arriva a un momento in cui si deve dire basta e preservare la propria integrità morale», scrive. Anche in Regione Toscana va registrato l’addio del consigliere Andrea Ulmi. Anche lui se la prende sdegnosamente con Salvini. «La mia scelta è sofferta perché la Lega è stato il mio primo e unico partito: esco dalla Lega per dare voce alla protesta e perché questa abbia un respiro toscano e non limitato ad un unico territorio. C’è stata un’emorragia di fuoriusciti ma, silenziosamente, dalla dirigenza è stato digerito tutto, con un unico obiettivo: mantenere il potere che la rendita di posizione conquistata dalla Lega negli anni precedenti poteva consentire loro». L’attacco a Matteo Salvini è frontale. E da tutti i fronti. Forse non basterà, a difenderlo, un Generale.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.