Il giorno dopo la conferenza stampa di Meloni in cui è stata sbandierata la stretta sui rave l’attacco alla libertà e il vulnus repressivo appaiono ancora più netti. Il decreto del governo, che introduce una nuova fattispecie di reato, colpisce e criminalizza ulteriormente i raduni musicali e nella sua formulazione rischia di potere essere esteso anche all’occupazione nelle scuole o all’emergenza abitativa, oppure alle manifestazioni.

Che cosa dice la norma? Stiamo parlando del primo comma dell’art. 434bis di riforma del Codice Penale. E dice che chi programma l’invasione arbitraria di terreni ed edifici privati e pubblici con lo scopo di fare raduni con più di 50 persone rischia da 3 a 6 anni di carcere e da mille a 10mila euro di multa. Per il costituzionalista Angelo Schillaci «viene messa a rischio la libertà di riunione, costituzionalmente garantita dall’articolo 17. Una libertà – continua Schillaci – considerata talmente essenziale alla qualità della vita democratica, che non sono mai previste autorizzazioni per il suo esercizio, ma solo il preavviso per le riunioni da tenersi in luogo pubblico; e che il mancato preavviso non è in sé causa di scioglimento della riunione, che può essere sciolta (in ogni caso, e cioè sia essa preavvisata o meno) solo quando sussistono “comprovati motivi” di “sicurezza o di incolumità pubblica”».

Sul fronte delle opposizioni, si muove determinato e con le idee chiare il Pd. Fin da subito Andrea Orlando e a seguire Enrico Letta: «Il Governo», ha scritto il segretario dem, «ritiri il primo comma dell’art. 434bis di riforma del Codice Penale. È un gravissimo errore. I rave non c’entrano nulla con una norma simile. È la libertà dei cittadini che così viene messa in discussione». Dal Terzo Polo parole al momento per nulla severe, per Calenda si tratta solo di «una norma a cavolo di Meloni per fare la dura». Giuseppe Conte, che inizialmente aveva minimizzato, ieri invece ha parlato di Stato di polizia, aspre critiche da Angelo Bonelli esponente dell’alleanza Verdi-sinistra. Il governo agisce in fretta e dal suo punto di vista bene. Perché usando i rave per attaccare la Costituzione, tocca un tema che su molte anime perbeniste fa presa, anche a sinistra. Il problema però è che si passa dai raduni musicali al diritto, cioè alla limitazione delle libertà.

Il Partito democratico, il più duro contro la norma, trova sponda nella società. Sono tante le realtà anche associative che ieri hanno lanciato l’allarme. Ad iniziare dalle Camere penali preoccupate per la questione intercettazioni. Gian Domenico Caiazza, ha sottolineato che «la pena edittale nei confronti degli organizzatori può andare dai tre ai sei anni. Non comprendo, quindi, perché la premier Meloni abbia voluto rivendicare di non avere dato il via libera alle intercettazioni dal momento che questo reato prevede pene superiori ai cinque anni. La pena superiore ai cinque anni consente che possano essere disposte intercettazioni e, secondo me, anche nei confronti dei partecipanti».

Durissimo anche il comunicato di Magistratura democratica: «Una pericolosa truffa delle etichette – scrivono in un comunicato – che contrasta la lettera dell’articolo 17 della Costituzione. Il diritto penale è un delicato sistema che aggredisce la libertà della persona, imponendone un uso sobrio e meditato. Per questo, intervenire con decreto legge per prevedere nuove fattispecie non è mai una buona idea. Eppure, nelle sue prime dichiarazioni, il ministro della Giustizia aveva assicurato che la depenalizzazione fosse uno dei criteri ispiratori dell’azione del nuovo Governo».

«È bene chiarire subito una cosa: – continuano i magistrati di Md la nuova fattispecie non si applica solo ai Rave Party (ove mai queste feste fossero davvero un problema così indifferibile e urgente, nell’agenda del Governo), ma entra in diretta collisione con l’art. 17 della Costituzione… D’ora in poi, se in una pubblica piazza si riuniscono un gruppo di cinquanta giovani, per festeggiare un lieto evento, facendo un po’ di schiamazzi, potranno incontrare un solerte funzionario di Polizia Giudiziaria che ritenendo quel raduno pericoloso per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica, decida di intervenire: autorizzando i suoi uomini ad utilizzare mezzi e strumenti violenti…».

Il pensiero corre a quanto è accaduto qualche giorno fa all’Università La Sapienza di Roma, quando la polizia ha manganellato gli studenti. Che cosa accadrà d’ora in poi, considerata la nuova norma e l’uso propagandistico che il governo sta facendo della repressione? La paura è tanta. Dal Viminale smentiscono e dicono che «la norma anti-rave illegali interessa una fattispecie tassativa che riguarda la condotta di invasione arbitraria di gruppi numerosi tali da configurare un pericolo per la salute e l’incolumità pubbliche. Una norma – continuano – che non lede in alcun modo il diritto di espressione e la libertà di manifestazione sanciti dalla Costituzione e difesi dalle Istituzioni». Salvini, irrefrenabile nel suo protagonismo, risponde a Letta che chiede di ritirare il decreto: «No! Indietro non si torna, le leggi finalmente si rispettano». Sì, ministro, a partire dalla più importante: la Costituzione.

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