Quando il vicepresidente americano JD Vance pronunciò il suo discorso il 14 febbraio alla conferenza di Monaco, attaccò tutte quelle regole e quei limiti convenzionali che in Europa regolano e, dunque, limitano – ovvero puniscono – la piena e anche sfrenata libertà di espressione personale e collettiva su giornali, piazze e social, in violazione del principio cardine della democrazia anglosassone: il free speech. A Londra come a New York, ti porti uno sgabello ad Hyde Park o a Central Park, ci sali sopra e dici quel che ti pare e piace, in genere dichiarando marce e abbiette le istituzioni, il governo, il re e la regina. Decidono poi i passanti se applaudire, fischiare o ignorare. Erano i “like” originari.

Vance, con atteggiamento molto pettorale, disse che la vera minaccia per la democrazia in Europa non è Putin ma le regole che poi sono diventate leggi, intimidazioni, divieti che stabiliscono quel che si può e quel che non si può dire. In genere, quelle norme europee reprimono soltanto espressioni considerate di destra. Non della destra “buona e liberale” (che paradossalmente ormai è un’aspirazione della sinistra), ma della destra cattiva, omofoba, islamofoba, anti-immigrazione, anti qualsiasi genere ed etnia, religione o superstizione e anti-aborto. Tutto ciò che in genere chiamiamo woke o politicamente corretto.

E dunque ci siamo tutti indignati e profondamente offesi, perché per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale un alto rappresentante degli Stati Uniti si permetteva – con tono odioso – di sostenere che nella vecchia Europa non esistono più i valori che un tempo erano condivisi con la tradizione liberale americana, perché oggi in Europa sono stati uccisi e sepolti. Detto per inciso, in questi giorni e in queste ore gli Usa sono in piena ebollizione anti-Trump: si fanno manifestazioni con slogan feroci, tutti i comici rifanno il verso al presidente e nel Congresso i rappresentanti trumpiani sono presi a pesci in faccia dai presidenti di Commissione in diretta televisiva e clip su YouTube. E quindi – sostiene Vance – esiste oggi uno stato di divorzio sui valori fondanti della democrazia sulle due sponde dell’Atlantico.

Ieri il prestigiosissimo Le Monde ha ripubblicato quel discorso integrale di JD, ma corredandolo con lunghe note che inseriscono – con la citazione completa – anche l’elenco dettagliato dei fatti cui si riferiscono le parole dell’americano. Sono tantissimi e danno parecchi brividi. Almeno a me. Troppo lungo riferire quel che scrive Le Monde, e rimando chi ne avesse voglia alla lettura del documentatissimo articolo (disponibile anche in inglese) firmato da autori competenti in ciascun campo specifico dei divieti europei alla totale libertà di opinione, specialmente se odiosa, sia di destra che di sinistra. Gli autori si chiamano William Audureau, Philippe Bernard, Maxime Ferrer, Assma Maad e Manon Romain. Provo gratitudine per un esercizio di “fact checking” e libertà giornalistica esemplari. Ne sono rimasto colpito, come sempre accade quando si trova uno strumento con cui collocare nel contesto reale un fatto avulso, persino strampalato e in genere irritante.

Alla grande manifestazione per l’Europa – come nota il direttore Claudio Velardi nel suo video – non si è mai parlato della tragedia dell’Ucraina invasa e beffata, né è mai stato fatto neppure il nome di Vladimir Vladimirovič Putin. JD Vance è stato sfacciato e brutalmente onesto. Chi partecipava alla piazza per l’Europa, deliberatamente mentiva per omissione e difetto di onestà, perché è stato osservato il divieto di free speech o anche quello più banale di dire le cose come stanno.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.