Il legame tra le piazze e la politica è profondo, originario, e in un certo senso indissolubile. E oggi che la comunicazione politica – come l’uomo più in generale – si è spostata massicciamente sui canali social e nello sconfinato etere di Internet, la piazza sembra essere rimasta come una piccola oasi di umanità in un mondo sempre più disumanizzato. E forse anche come una fiammella di speranza, seppur flebile. Sentimento, quello della speranza, che animerà tutte le piazze che oggi si contenderanno Roma, che proveranno a smuovere le coscienze di un Paese che nel profondo all’Europa non ha mai creduto e che europeista non è mai stato.

Certo, l’Italia è un Paese fondatore dell’Unione: sin dai suoi albori ha dato testimonianza al protagonismo più diretto verso l’integrazione europea, ma anche in questo caso – come troppo spesso è accaduto nella storia della nostra nazione – non è stata la maggioranza ma la piazza, una minoranza, a scegliere per tutti. La storia italiana, in fondo, è questo: l’alternarsi di minoranze decise e convinte alla guida del Paese, in fasi storiche diverse e spesso altalenanti, che in nome e per conto della maggioranza si assumono la responsabilità di compiere i passi decisivi della storia. Quell’Italia delle piazze, politicizzata e oculata, lo ha fatto per tutta la storia repubblicana, ha impresso su di sé l’onore e l’onere di rappresentare le ambizioni e i timori di una nazione piena – per non dire ricolma – di contraddizioni storiche e ormai più che endemiche.

Quelle di oggi saranno piazze di sinistra, diverse tra loro, ma pur sempre di sinistra, anche se – come nel caso della manifestazione apartitica «per l’Europa» organizzata da Michele Serra – la sinistra d’opinione si riunirà in quella che nell’immaginario collettivo è una piazza di destra, e della destra. Dalla Piazza del Popolo gremita per i comizi di Giorgio Almirante – frequentati anche da chi non votava Msi, ma era affascinato dall’oratoria del segretario missino – a quelli di Silvio Berlusconi, che ai tempi del Popolo della Libertà esordì proprio in quel luogo, annunciando che «da oggi si chiamerà Piazza del Popolo della Libertà». Era già allora un berlusconismo inconsapevolmente sul viale del tramonto, ma ancora combattivo e in pieno stile berlusconiano. Ma Piazza del Popolo è anche la piazza di Giorgia Meloni, quella in cui chiuse la campagna elettorale del 2022 che l’avrebbe portata trionfalmente a Palazzo Chigi, in cui celebrò il decennale di Fratelli d’Italia e anche quella decisiva in ogni occasione a ridosso del voto. Una piazza che è nel Dna della destra, nonostante tanti leader del centrosinistra – da Prodi a Veltroni – abbiano tentato di appropriarsene e strapparla ai «proprietari».

«È una piazza storica della destra italiana», dice al Riformista Fabrizio Tatarella, vicepresidente della Fondazione Tatarella, guardiana della memoria storica della destra. Sempre a Piazza del Popolo, «Almirante, in occasione delle elezioni europee del 1979, pronunciò quel discorso destinato a segnare il rapporto tra destra ed Europa, ma anche il rigetto verso quell’equilibrio detto “arco costituzionale” teso ad annullare il Movimento sociale». «Volevate relegarci in Italia e noi ci siamo aperti in Europa, volevate chiudere, contro di noi, i cancelli della vostra fasulla democrazia. Ma ricordate: la destra o è coraggio o non è! È libertà o non è! È nazione o non è! Così vi dico adesso: la destra o è Europa o non è! E vi dico qualcosa di più: l’Europa o va a destra o non si fa!», tuonò Almirante. «E non è un caso – aggiunge Tatarella – se quella è la piazza in cui Meloni ha chiuso la campagna elettorale del 2022».

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Nato nel 1994, esattamente il 7 ottobre giorno della Battaglia di Lepanto, Calabrese. Allievo non frequentante - per ragioni anagrafiche - di Ansaldo e Longanesi, amo la politica e mi piace raccontarla. Conservatore per vocazione. Direttore di Nazione Futura dal settembre 2022. Fumatore per virtù - non per vizio - di sigari, ho solo un mito John Wayne.