Medio Oriente
Libano, oggi l’elezione del nuovo presidente. Chi è Joseph Aoun, il comandante dato per favorito che piace a Washington
Quella di oggi è una giornata molto importante per il futuro del Libano. Il paese è infatti da settimane in ansia in attesa della giornata di oggi, 9 gennaio, quando è in programma la sessione del Parlamento dedicata all’elezione di un nuovo capo di Stato. Il Paese dei Cedri è senza un presidente dal novembre del 2022, da quando il 31 ottobre di quell’anno è scaduto il mandato di Michel Aoun. Da allora le divergenze tra i partiti rivali e la presenza ingombrante di Hezbollah, che agisce per nome e per conto dell’Iran, hanno sempre impedito l’elezione di un nuovo capo di Stato.
Il conflitto
Nel frattempo è esploso il conflitto in Medio Oriente, il Libano è stato teatro di massicce operazioni militari israeliane contro gli Hezbollah e lo scorso settembre è stato ucciso Hasan Nasrallah, storico segretario generale del movimento sciita. Questo dato, che vede il partito sciita e il suo padrone iraniano fortemente indeboliti grazie a Israele, rappresenta il punto di svolta che potrebbe dare finalmente a questo paese il suo presidente. Al momento non ci sono certezze di successo ma tra i candidati in lizza uno spicca sugli altri ed è dato per favorito. Si tratta del comandante delle Forze Armate libanesi, il generale Joseph Aoun. Piacerebbe a Washington e a fine dicembre era stato in Arabia Saudita. Nei giorni scorsi inoltre a Beirut ha visto i ministri francesi di Esteri e Difesa. Tutti indizi che lasciano ben sperare.
Libano, per il nuovo Presidente servono 86 voti su 128
Nei giorni scorsi a Beirut è arrivato, da Riad, l’inviato Usa Amos Hochstein. Sulla necessità di un nuovo presidente per il Libano concordano l’Amministrazione di Joe Biden e la prossima Amministrazione di Donald Trump, di cui Hochstein ha il sostegno. La seduta è stata convocata oggi, dopo che Hezbollah ha chiarito che il suo veto riguarda solo un candidato, Samir Geagea, leader delle Forze libanesi, fortemente critico nei confronti del Partito di Dio. Fra i nomi rilanciati dai media arabi ci sono anche quelli di Jihad Azour, l’ex ministro delle Finanze oggi all’Fmi, di Elias Baysari, al momento a capo della Sicurezza generale, dell’imprenditore Samir Assaf e dell’ex ambasciatore ed ex capo dell’intelligence militare Georges Khoury. Per salire al Palazzo di Baabda servono 86 voti su 128 parlamentari dell’Assemblea di Beirut al primo round e 65 dalla seconda votazione. Le pressioni da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati per arrivare ad una soluzione della crisi politica libanesi sono forti e non si limitano al lavoro svolto nei giorni scorsi da Hochstein, che ha svolto una serie di consultazioni con i leader delle forze politiche e dei gruppi indipendenti libanesi. L’amministrazione Biden dirotterà 95 milioni di dollari di aiuti militari stanziati per l’Egitto al Libano, che deve affrontare minacce da parte di Hezbollah e altri attori non statali. Secondo i media israeliani la notifica del Dipartimento di Stato al Congresso del previsto spostamento definisce le forze armate libanesi “un partner chiave” nel sostenere l’accordo tra Israele e Libano del 27 novembre 2024 per cessare le ostilità e impedire al gruppo terroristico Hezbollah di minacciare Israele.
Un segnale di svolta
Un altro segnale della svolta politica libanese riguarda la disponibilità di Beirut a estradare il figlio del defunto religioso musulmano Youssef al-Qaradawi negli Emirati Arabi Uniti. Il governo provvisorio del paese ha approvato il decreto, afferma l’ufficio del primo ministro libanese Najib Miqati. Abdul Rahman al-Qaradawi, un poeta turco-egiziano, è stato arrestato in Libano il 28 dicembre dopo essere tornato dalla Siria. Il suo arresto è seguito ai commenti critici che Qaradawi ha fatto alle autorità degli Emirati Arabi Uniti, dell’Arabia Saudita e dell’Egitto in un video pubblicato online. Sia gli Emirati che l’Egitto hanno presentato richieste di estradizione. Lo sceicco Youssef al-Qaradawi, morto nel 2022, era una guida spirituale della Fratellanza musulmana che sostenne le rivolte della Primavera araba del 2011 e sconvolse i governanti in Egitto e nel Golfo con la sua predicazione islamista.
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