Sulle uccisioni dei civili e, in particolare, del personale sanitario durante un’operazione militare occorrerebbe fare la chiarezza che dannosamente manca. Che manchi per la superficialità o invece per la malafede di chi osserva e commenta quelle tragedie poco importa: è una mancanza che in ogni caso, appunto, arreca danno. Non danno a questa o quella parte, cui riconoscere attenuanti; non danno a questo o quel responsabile, cui garantire assoluzioni. Danno all’intelligenza delle cose. Danno alla verità. Prendiamo il toro per le corna, cominciando dall’orrenda strage dei cooperanti di cui si sono rese colpevoli le forze armate israeliane l’altro giorno. Un conto è sostenere, con il comprensibile carico di indignazione e con la giusta richiesta di condanna, che nulla – nemmeno il sospetto che si trattasse di nemici, nemmeno l’ipotesi che in quel gruppo di volontari fosse immischiato qualche belligerante – può giustificare un simile macello.

Un altro conto, tutt’altro conto, è sostenere, nell’assenza di prove che lo dimostrino, che il fuoco su quel convoglio sia stato ordinato per la deliberata intenzione di uccidere i cooperanti umanitari. La responsabilità di chi li uccide pensando, erroneamente, che si tratti di nemici, è gravissima: ma non è uguale a quella di chi li uccide sapendo che sono cooperanti umanitari e volendoli uccidere per questo. Ma si può andare oltre. La responsabilità di chi li uccide “accettando” che possano essere uccisi in un’operazione diretta contro altri, ma che li coinvolge, è a sua volta gravissima: ma non è uguale a quella di chi prende di mira il volontario per uccidere il volontario, non è uguale a quella di chi fa fuoco sull’ospedale per uccidere i medici e i pazienti.

E parliamo con chiarezza anche di questo, dunque: parliamo con chiarezza dei medici, dei pazienti, dei civili coinvolti nelle operazioni militari intorno agli ospedali e dentro. È non solo possibile, ma perfettamente legittimo, ritenere che la neutralizzazione di cinque o persino cinquecento belligeranti valorosamente asserragliati in un reparto maternità o in un tunnel sotto al pronto soccorso non giustifichi neppure la lesione di un’unghia di un malato o di un medico. Figurarsi le carneficine cui abbiamo dovuto assistere. È cioè possibile, ed è ancora perfettamente legittimo, sostenere che sia sbagliato e persino criminale mettere a rischio la vita dei pazienti e dei medici sul presupposto – fondato o no – che in quel luogo si nascondano terroristi e miliziani. Ma quando con riprovazione si denunciano (e lo si fa da circa sei mesi) la “sparatoria nelle corsie” e “l’assedio” di questo o quell’ospedale, qualche domanda non insorge? Con chi scambiano il fuoco, i militari? Con gli intubati? Con le puerpere? Con i diabetici? E “l’assedio” perché? E di chi? Per ricreazione tra una battaglia e l’altra?

Dice: ma gli intubati, le puerpere e i diabetici rimangono uccisi. Certo, e a seconda dei punti di vista si può osservare che è tremendo o che è criminale averli uccisi, appunto nel senso che chi li uccide accetta l’ingiustificabile morte di quegli innocenti come prezzo da (far) pagare per neutralizzare i belligeranti. Ma è un’altra cosa, tutt’altra cosa, dire che quei militari sparano contro l’ospedale “per” uccidere i medici e i malati. Dice: ma l’assedio c’è. Certo, e a seconda dei punti di vista si può dire ancora una volta che è tremendo o criminale, nel senso che, attuando il cosiddetto assedio, si accetta il pericolo che vengano meno le cure e l’assistenza ai malati in omaggio all’esigenza di stanare quelli che se ne fanno scudo. Ma è un’altra cosa, tutt’altra cosa, dire che i militari assediano un ospedale per far languire sino alla morte i pazienti e per freddare il personale medico che fa capolino da una finestra.

Ci si ricorda, sempre per stare in argomento, di tutti quei morti di settimane addietro, la povera gente rimasta uccisa intorno a un altro convoglio di aiuti alimentari? Bene. A parte il fatto, documentato quanto trascurato, che quel convoglio fu assaltato da centinaia di persone, è perfettamente legittimo denunciare che era da sconsiderati sparare in una scena tanto affollata, persino se c’era il sospetto che lì in mezzo ci fossero miliziani e sabotatori. Ma è un’altra cosa, tutt’altra cosa, titolare, come ampiamente è stato fatto, sull’esercito che spara, per ucciderli, contro gli affamati. È un’altra cosa, una cosa tutta diversa, scrivere di quel fatto lasciando intendere, anzi dicendo proprio, che c’era la deliberata volontà di uccidere quei disgraziati.

È legittimo, anzi doveroso, denunciare le uccisioni dei civili, dei malati, dei medici, dei volontari. Si può pretendere che abbiano fine e si può argomentare che nulla le giustifichi. Ma lo si può fare, e bisognerebbe farlo, senza sostenere, contro il vero, che questa sia una guerra fatta per ucciderli. Si badi bene al punto. Sostenere (com’è legittimo) che nulla giustifichi l’uccisione dei civili, e che sia un crimine intraprendere un’azione militare che ne mette a rischio la vita, non basta forse a definire la responsabilità gravissima di chi intraprende quell’iniziativa? Perché aggiungere, contro il vero, che è intrapresa a quel fine sicario anziché a costo di quel rischio e di quelle uccisioni? La risposta è molto semplice. In un caso si contesta e si condanna il modo con cui un esercito ha operato in questa o quella circostanza; nell’altro caso si contestano e si condannano, mistificandole, le ragioni per cui opera quell’esercito.