Il mandato di cattura emesso dalla Corte Penale internazionale ai danni di Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant ha animato negli scorsi giorni – e lo fa tuttora – il dibattito occidentale. Soprattutto tra quei paesi come l’Italia che riconoscono la Corte e dunque sono obbligati in linea molto teorica ad ottemperare all’esecuzione del mandato qualora o Netanyahu o Gallant si trovassero sul proprio suolo.

La narrazione dominante

Una situazione complessa, persino traumatica, che produce negli stessi governi punti di vista differenti e pone svariati interrogativi sulle ragioni stesse che muovono le decisioni di un organo come il tribunale dell’Aia, che sembra in questo caso essersi piegato alla narrazione dominante piuttosto che all’effettiva sussistenza di elementi tali da suggerire un provvedimento così radicale. Soprattutto perché nella richiesta del “mandato di cattura” da parte del Procuratore Kharim Ahmad Khan vi è un’equiparazione pericolosa tra i rappresentanti di uno Stato democratico appartenente di diritto alla comunità internazionale, e i vertici di un’organizzazione terroristica come è Hamas.

I terroristi nel frattempo trapassati per opera di Israele. Ora l’autolesionismo occidentale è cosa nota, e il concetto di “giustizia” dai tempi del processo a Socrate e di tanti suoi coevi, assume spesso più fattezze politiche che giuridiche. Il diritto in tempi grami, e soprattutto di guerra, è facile preda degli umori, delle sensazioni – che possono essere sbagliate – della propaganda e di altre forme di visibilità parziale. Ma noi viviamo in tempi in cui si insegue la tendenza più che la verità, e in fondo la verità la si può verificare solo alla fine e non nel mezzo di una guerra. Altrimenti il rischio è quello di alimentare la propaganda di quello che sono ad oggi i nemici dell’occidente, come l’Iran, costantemente alla ricerca di elementi che alimentino appunto il loro racconto, denso di odio, antisemitismo e antioccidentalismo.

Era solo questione di tempo, e l’Ayatollah Ali Khamenei la “guida suprema” si è fiondato nel dibattito infuocando un incontro a Teheran con la forza paramilitare dei Nirouy-e moqavemat-e basij, gruppo fondato da Khomeini e alle dipendenze dirette dei pasdaran, sostenendo che “Il recente mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale contro il premier israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa non è sufficiente. – sostenendo che – Netanyahu e le autorità israeliane dovrebbero essere giustiziati per crimini di guerra”. Nonostante viva blindato e nel terrore costante di essere oggetto di qualche azione del Mossad e dell’Idf, l’ayatollah forse fomentato dalla platea, o forse spinto dalla necessità di trasmettere una minima percezione di forza, si è lanciato in dichiarazioni baldanzose contro lo stato ebraico.

La strategia secondo Khamenei

Secondo Khamenei, la strategia israeliana in Libano “è stupida”: “Il nemico ‘stupido’ pensa che il bombardamento delle aree residenziali a Gaza e in Libano sia una vittoria, ma è solo un crimine di guerra. Il nemico non ha mai ottenuto e non otterrà mai alcuna vittoria, ma al contrario la sua stupidità rafforzerà ed espanderà il fronte della resistenza”. Fronte della “resistenza” che pare sgretolarsi ogni giorno di più, ma ben lungi dall’essere sconfitto. I tentacoli della piovra continuano a muoversi, perché come sanno bene dalle parti di Tel Aviv finché la “testa” resterà in vita, questa guerra non potrà finire. Per distruggere la piovra è necessario decapitarla, impedendo che seguiti ad alimentare i nemici di Israele. Ma colpire realmente l’Iran in un contesto cosi instabile ha i suoi rischi e l’escalation sarebbe inevitabile. Benché in questa fase al di là del conflitto sul campo, nelle strategie regna un certo attendismo dovuto alla necessità di capire come cambierà nei fatti e se cambierà (anche se questo appare inevitabile) il protagonismo degli Stati Uniti. Certo in una situazione così fragile basta poco per accelerare un processo destinato comunque a deflagrare.

La miccia è innescata, se sia “corta” o “lunga” questo ce lo dirà solo il tempo. Khamenei dalla sua dà spazio alla propaganda con la sua oratoria enfatizzante, dichiarando che “Lo spirito e le capacità dei Basij, che emergono nei membri del fronte della Resistenza e in alcuni Paesi, sconfiggeranno sicuramente le potenze arroganti, gli Stati Uniti e l’Occidente e il regime sionista”. Consapevole però che il suo nemico non è soltanto l’Occidente che egli giudica “arrogante”, ma tutto il mondo islamico sunnita che vede nell’Iran una minaccia per la propria esistenza, per non dimenticare quel popolo persiano che sotto la coltre islamista si agita e ribolle nell’attesa – si spera presto – di implodere.

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Nato nel 1994, esattamente il 7 ottobre giorno della Battaglia di Lepanto, Calabrese. Allievo non frequentante - per ragioni anagrafiche - di Ansaldo e Longanesi, amo la politica e mi piace raccontarla. Conservatore per vocazione. Direttore di Nazione Futura dal settembre 2022. Fumatore per virtù - non per vizio - di sigari, ho solo un mito John Wayne.