Giustizia selvaggia
Bonafede si vendica con Battisti e tradisce la Costituzione

La finalità rieducativa della pena e le garanzie poste dalla Costituzione e dall’ordinamento carcerario alla sua esecuzione, rappresentano la linea di confine tra lo Stato autoritario e quello liberale. In Italia, “culla del Diritto”, si preferisce lasciare agli addetti ai lavori – avvocati e magistrati – il compito, che spetterebbe ad una politica meno timida e intimidita, di discutere sulla condizione delle carceri e dei carcerati e di trovare una soluzione al sovraffollamento ed alla gestione delle misure alternative alla detenzione. In questa cornice fatta di rinvii e furbizie burocratiche (vedi il calcolo dei metri quadri a disposizione dei detenuti) spicca una “macchia” che facciamo sempre più fatica a nascondere nelle pieghe della cronaca dei giornali e che riguarda Cesare Battisti.
Apro l’ombrello come fa chiunque provi ad affrontare il tema: considero l’ex primula rossa dei PAC, proletari armati per il comunismo, un misero assassino che finalmente risponde delle proprie malefatte. Ha subito innumerevoli processi e, benché mai interrogato in quanto latitante, non è in discussione né la sua colpevolezza, né il fatto che quegli omicidi siano stati efferati e persino privi di quelle assurde “motivazioni” ideologiche che caratterizzavano il terrorismo degli anni settanta. Battisti era un delinquente comune “radicalizzato” in carcere alla lotta armata per il comunismo, in nome del quale uccise o partecipò all’uccisione di almeno quattro persone. Quando evase, rifugiandosi prima in Messico, poi in Francia ed infine in Brasile, definì la prigione un “lager di Stato” e questo bastò per armargli la mano contro una delle sue vittime, Antonio Santoro, maresciallo della Polizia Penitenziaria di Udine. Probabilmente non avrebbe mai immaginato di risentire l’eco di quelle sue parole, quarant’anni dopo, nel carcere di Rossano.
Qui infatti è finito, dopo alcuni mesi trascorsi ad Oristano (un altro carcere in condizioni a dir poco fatiscenti), in compagnia per lo più di terroristi jihaidisti e, soprattutto, sottoposto ad un regime carcerario di “alta sicurezza” che si traduce in una serie di misure accessorie della pena totalmente ingiustificate. Quando fu arrestato in Bolivia (altro contrappasso, visto che si era rifugiato in uno degli ultimi paradisi del comunismo) e, successivamente, “regalato” (vedi tweet di Bolsonaro jr) all’Italia , Battisti arrivò a Ciampino accolto da ben due ministri: uno, Bonafede, ministro di Grazia (?) e Giustizia, lo filmò, contro l’ordinamento carcerario ed il buon senso, diffondendo via Facebook le immagini; l’altro, Salvini, ministro dell’Interno, gli promise che lo avrebbe fatto “marcire in galera”.
Sembrava il Colosseo e, invece, era un aeroporto dove lo Stato aveva messo in piedi, senza accorgersene, la rappresentazione del proprio fallimento anzi, del tradimento dei diritti e della dignità di ogni cittadino, anche del peggiore, tanto che ancora risuonano le parole di una poliziotta, Cristina Villa, che contribuì alla cattura del latitante: ”Non brinderò mai alla tristezza altrui”. Adesso a Battisti viene negata la visita dei familiari e la posta, è stato tolto il computer e qualsiasi possibilità di svolgere una pur minima attività; in carcere può solo “marcire”, appunto, cosa che non si esclude considerate le condizioni di salute. Si dirà: ma è un assassino ed è giusto che paghi. Ed infatti deve pagare le sue colpe ma se lo Stato si mette sullo stesso piano di chi commette un delitto abdica al proprio ruolo e tradisce la Costituzione. “La vendetta è una specie di giustizia selvaggia”, diceva Francesco Bacone che però, a Via Arenula, oggi come oggi considerano ancor meno di Rousseau.
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