Questa volta ci mette il suo corpo. Quello di un uomo di sessantacinque anni con qualche problema di epatite e di prostata. Da ieri Cesare Battisti rifiuta il cibo e le medicine. La notizia diffusa dall’avvocato Davide Steccanella con una lettera dello stesso ex terrorista, ha suscitato la solita valanga di commenti negativi, anche da quegli ambienti politici che ostentano il proprio “garantismo”. Uno solo sembra aver capito, il regista Marco Bellocchio, che vede l’aspetto positivo nella scelta non violenta, definendola «protesta legittima», soprattutto perché «penso che contraddica la condotta violenta della sua militanza terroristica. Per questo ha una sua nobiltà, in quanto non violenta». Una tenue eco delle parole di Marco Pannella, cui purtroppo si è sottratta Dacia Maraini, che ha preferito chiedersi «chissà se ha pensato alle vittime».

Quel che colpisce, soprattutto nei commenti degli esponenti politici, è l’ignoranza. Cioè il disinteresse per i fatti, per le ragioni di una decisione così estrema. Come se, una volta catturata la preda, la persona non esistesse più, sprofondata in un buco nero, una sorta di piccola Guantanamo ad hoc. Eppure, non occorre essere avvocati per fare il punto della situazione. Cesare Battisti ha commesso reati molto gravi, ha ucciso, ha ferito, ha rapinato. Inoltre è rimasto latitante, lontano dall’Italia per circa quarant’anni. Per questo è stato condannato all’ergastolo, unico tra i suoi ex compagni. Non solo, ma la corte d’appello di Milano, quando nel 1993 ha emesso l’ultima sentenza di merito, gli ha inflitto come pena anche l’isolamento diurno per sei mesi. Ora, ci vuole una laurea in ingegneria per calcolare che dal giorno del suo arresto, il 14 febbraio 2019, si arriva più o meno a ferragosto dello stesso anno, data oltre la quale l’isolamento avrebbe dovuto cessare?
Non è così, Cesare Battisti è sempre solo, a Oristano, in Sardegna. È passato oltre un anno e mezzo, e nessuno ufficialmente ha ancora risposto alle diverse istanze dei suoi difensori. Lui stesso ha addirittura presentato una denuncia per abuso d’ufficio alla procura della repubblica di Roma. Nei confronti di ignoti, o forse, tra le righe, degli ultranoti ministro di giustizia o capi del Dap.

L’altro punto su cui basterebbe informarsi, per capire, è la scelta della collocazione della sua detenzione. Perché in Sardegna? Per punire lui oppure i suoi parenti e soprattutto i suoi difensori? Il suo giudice naturale, quello davanti al quale si sono celebrati i processi che lo hanno giudicato e condannato, è a Milano, dove ci sono tre carceri. Tutti questi “garantisti” che urlano e protestano, perché hanno tanta difficoltà a capire che non c’è bisogno di queste (di fatto) pene accessorie per fare scontare il giusto a chi ha commesso reati tanto gravi e li ha anche ammessi? A Milano esiste il carcere di Opera, dove sono detenute altre persone con condanne gravi. Non sarebbe un privilegio per l’ex terrorista essere trasferito lì. È un istituto ad alta sorveglianza. Invece no. Se vogliamo farne una questione formale infine, potremmo ricordare che l’arresto di Cesare Battisti è avvenuto in un aeroporto romano, dopo la sua estradizione. Se la memoria non ci inganna anche nella capitale ci sono un paio di carceri, Rebibbia e Regina Coeli, che non sono certo degli hotel.

C’è un’altra questione infine, che dovrebbe suscitare qualche curiosità. Siamo sicuri che un anno e mezzo fa sia stato arrestato un terrorista? In Italia la lotta armata degli anni Settanta non esiste più, sono passati decenni, tutti sono cambiati e tutti i protagonisti di quei tempi sono più o meno liberi, compresi coloro che hanno rapito e ucciso Aldo Moro. Battisti ha indubbiamente goduto il privilegio della latitanza e ora deve scontare la sua pena, più che giusto. Ma è un terrorista? Ovviamente no, e anche se lo fosse, non avrebbe più la possibilità di avere relazioni con altre persone con le armi in pugno. Non ci sono altri come lui, nelle carceri italiane. Forse anche per questo (ma non è un buon motivo) lo lasciano così solo.

Ma ci domandiamo per quale motivo debba restare in un reparto di massima sicurezza (AS2), quello riservato appunto ai terroristi. È una situazione insensata, che puzza troppo di vendetta, per poter passare inosservata. Mostra una volta di più la debolezza dello Stato e anche di questo governo. Il premier Conte vuol fare il piccolo Erdogan e portare un detenuto a mettere in discussione il proprio corpo, la propria salute e la propria vita, solo per intestardirsi a non applicare tre semplici regole? Glielo spieghiamo noi, ministro Bonafede, che cosa bisogna fare, per ristabilire la legalità: togliere il detenuto dall’isolamento, trasferirlo nel luogo del suo giudice naturale, declassificarlo dalla categoria di terrorista a quello di normale prigioniero. Lasciategli scontare in pace, se possibile, la sua pena. Non continuate a renderlo protagonista, ancora una volta, suo malgrado, di qualcosa di forte, di scandaloso, forse di tragico.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.