“Sono stati mesi difficili, che sto cercando di superare”. Paolo Rossi rispondeva così alle domande della giornalista Alberta Mantovani nella sua ultima intervista, pubblicata cinque giorni fa, su Il Giornale di Vicenza. “Una fase complicata della mia vita, dal punto di vista della salute, ma sto facendo di tutto per tornare quanto prima a stare bene. Nonostante ciò, non mi sono mai perso una partita del Lane, è più forte di me! È un pezzo di cuore”. Rossi, eroe del Mundial del 1982, “Pablito”, è stato uno dei campioni italiani più amati di sempre, Pallone d’Oro, Campione del Mondo e d’Europa con la Juventus. Al Lanerossi Vicenza aveva giocato dal 1976 al 1979. E l’intervista, per l’appunto, fu tutta centrata sulla squadra veneta.

Una affetto immutato, quello per la città e il club vicentino che attualmente milita in serie B. Con i biancorossi l’attaccante esplose con decine di gol dalla B alla A. Faceva parte del cda. “Credo sia tutto un po’ falsato, perché a volte le scelte sono obbligate – ha detto a proposito del calcio durante la pandemia – Ma è un destino democratico, vale per tutti, quindi non resta che giocarsela in campo. Quello che non mi piace è che non ci siano tifosi allo stadio. Da calciatore so quanto sia importante il calore del pubblico e da spettatore mi rendo conto di quanto il tifo faccia a volte la differenza”. Una considerazione anche su Stéphanie Frappart, primo arbitro donna in Champions League, in Juventus-Dinamo Kiev: “Una bella svolta, mi piace l’idea. Anche qui, come per tutte le novità, va assecondata. Le donne sono attente, diligenti, determinate e quando scelgono di fare una cosa la fanno al meglio, dunque avanti così”.

L’intervista è più saliente nella parte sulle sue condizioni di salute, peggiorata negli ultimi mesi. “Sono stati mesi difficili, che sto cercando di superare. Una fase complicata della mia vita, dal punto di vista della salute, ma sto facendo di tutto per tornare quanto prima a stare bene”. Rossi è morto al policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena, gestito dall’Azienda ospedaliero-universitaria senese. Era stato ricoverato dopo l’aggravamento del tumore ai polmoni che gli era stata diagnosticata nella scorsa primavera. Aveva 64 anni. Lascia la moglie Federica e i tre figli Sofia Elena, Maria Vittoria e Alessandro. La camera ardente è stata allestita, in base alle restrizioni anti Covid, nell’obitorio dell’ospedale Santa Maria delle Scotte.

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