La perizia parla di ipossia
“Mahsa Amini non è stata picchiata a morte”: l’autopsia ufficiale sul caso che incendia l’Iran
Le fontane a Teheran – a Student Park, Fatemi Square, Iranshahr Theatre e Artists’ Park – zampillano sangue: sangue finto, nell’opera di un artista anonimo per denunciare le repressioni seguite alla vicenda di Mahsa Amini, la 22enne arrestata perché indossava male il velo e morta durante la detenzione. Quella morte, in circostanze ancora da chiarire, sarebbe stata causata secondo la perizia di un medico legale iraniano da un’ipossia, una carenza di ossigeno che ha provocato danni cerebrali e il rapido deterioramento di altri organi.
Il risultato di questa analisi è stato diffuso dall’IRNA, l’agenzia di stampa ufficiale dell’Iran. Le autorità avevano sempre parlato di una tragica fatalità, di un malore che aveva stroncato la ragazza durante la detenzione. La 22enne era stata arrestata dalla polizia religiosa in un parco a Teheran perché indossava male il velo, lo hijab, obbligatorio per le donne nella Repubblica Islamica. La famiglia di Amini ha accusato maltrattamenti da subito e già contestato la perizia.
La morte della ragazza ha provocato un’ondata di proteste in tutto il Paese, un movimento epocale partito dal Kurdistan iracheno, Regione d’origine della ragazza. La repressione delle manifestazioni è stata subito violenta. Secondo la ong norvegese Iran Human Rights sono 154 i manifestanti che hanno perso la vita, gli arrestati sarebbero migliaia. Stando ai dati di Amnesty Internazional a Zahedan è di almeno 82 morti il bilancio della violenta repressione dello scorso 30 settembre, compresi bambini. All’Università Sharif di Teheran sarebbero stati arrestati dai 30 ai 40 studenti. Il Presidente Ebrahim Raisi ha accusato gli Stati Uniti “e gli altri nemici del Paese” per aver “cercato di perseguire i loro obiettivi anti-iraniani e anti-rivoluzionari all’Università Sharif”.
Le tensioni hanno ormai ampiamente superato i confini dell’Iran: oltre alle proteste diffuse in tutto il mondo Washington ha imposto sanzioni a sette funzionari iraniani di altro livello. Secondo la perizia invece la morte “non è stata causata da percosse alla testa e agli arti” e le condizioni della donna si erano aggravate per via di “malattie preesistenti” e che i tentativi di rianimazione non avevano funzionato portando all’ipossia. Il dottor Masoud Shirvani, neurochirurgo membro del consiglio della Società di Neurochirurgia dell’Iran, era già intervenuto dopo i primi giorni di proteste sul canale televisivo iraniano Irib Tv2, e aveva dichiarato che Amini, quando aveva 8 anni, era stata operata al cervello per la rimozione di un tumore.
Il medico aveva fatto riferimento ai trattamenti ormonali che questo tipo di pazienti deve intraprendere. “Il tumore cerebrale che ha avuto in passato non può essere strettamente correlato alla sua morte, ma eventuali problemi ormonali, se associati a stress, potrebbero causare danni”. La polizia iraniana aveva inoltre diffuso alcuni filmati delle telecamere a circuito chiuso interne alla caserma in cui si vede Amini che collassa nella stazione di polizia. Le proteste però non si erano fermate: si erano allargate da strade e piazze a scuole e università con i manifestanti a urlare slogan contro la Repubblica islamica degli Ayatollah e contro la polizia religiosa, l’obbligo del velo. Il gesto di tagliarsi i capelli o di bruciare lo hijab è diventato virale in tutto il mondo.
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