Qualche appunto su alcuni fatti degli ultimi giorni. Parliamo naturalmente del terremoto scatenato dal nostro giornale con la pubblicazione delle dichiarazioni di Amedeo Franco, il giudice “pentito” che in più occasioni affermò che la sentenza di colpevolezza per frode fiscale che di fatto nel 2013 estromise Berlusconi dalla politica italiana era stata pilotata dall’alto e che la sezione feriale della Cassazione che l’aveva pronunciata era un plotone d’esecuzione. Normale il caos che queste rivelazioni hanno prodotto, visto che quella sentenza ha cambiato la storia repubblicana, mettendo fuori gioco un leader politico e ribaltando, nei suoi effetti, la libera espressione della volontà popolare. Normale – e deprecabile – il silenzio ammutolito degli eroi del giustizialismo nazionale, i 5 Stelle, di fronte a queste rivelazioni. Meno normale il silenzio tombale delle sinistre tutte, a partire dal Pd. Ha aperto bocca solo Walter Verini, che ha parlato di «polemiche tossiche» e ha consigliato di «non alimentare campagne usando ancora la giustizia come terreno di scontro politico e propagandistico (sic!)». Poi ci sono state un paio di oneste interviste – sul nostro giornale – di due grandi vecchi della sinistra, Emanuele Macaluso e Luigi Berlinguer. Poi basta.

Il nulla: Zingaretti, Orlando, Cuppi (Presidente del Pd), Ascani, Serracchiani, la Segreteria nazionale tutta, i ministri, i capigruppo: non una parola. E perché questo silenzio è meno normale? Perché contestualmente proprio il Pd, per bocca del capogruppo al Senato Andrea Marcucci, ha rivolto le proprie solenni scuse ad Ilaria Capua, scienziata ed ex deputata di Scelta Civica, che si dimise dal Parlamento sull’onda di un’inchiesta in cui venne accusata di traffico internazionale di virus, sbattuta sui giornali e criminalizzata come il peggior mostro mai esistito e poi prosciolta perché il fatto non sussisteva. «Quando parliamo di malagiustizia – ha detto Marcucci – pensiamo a vicende come queste». Quindi il principio che sottende a quest’ultima affermazione è che se c’è o non c’è malagiustizia lo si decide, se va bene, su basi soggettive e variabili, se va male per convenienza politica. E qui sta il male di tutta la faccenda: quando l’Espresso pubblicò in copertina le accuse alla Capua, diversi partiti oggi al governo cavalcarono la tigre del giustizialismo senza riconoscerle né il beneficio del dubbio né quello della buonafede. Le invettive dei grillini furono violentissime.

Anche allora non ci fu controcanto, con esclusione della “solita” Forza Italia, e la Capua entrò ingiustamente nel refugium peccatorum dei “macchiati”. Lo raccontò lei stessa in un’intervista rilasciata a Gaia Tortora nel 2017 per presentare il suo libro, con parole molto efficaci: «Ogni volta che in Parlamento provi a portare avanti qualunque cosa, ti viene detto: eh, però lei è accusata di essere una trafficante di virus, di avere rapporti con le aziende farmaceutiche, quindi non è che possiamo prendere in considerazione le sue proposte…». «Mi sono dimessa perché non potevo fare e non riuscivo a fare quello che volevo fare e per cui ero stata eletta…». «Ci sono tante persone che non hanno la mia visibilità e che non hanno la possibilità di gridare al mondo la loro innocenza. Se io riuscissi ad evitare anche ad una sola persona di passare quello che ho passato io, attraverso questo libro, io avrò raggiunto il mio obbiettivo». Quindi le scuse da parte del Pd, sebbene tardive, sono apprezzabili, così come è apprezzabile aver ammesso l’errore, quantomeno di valutazione.

Resta però un problema di metodo. Sappiamo che diversi partiti italiani, tutti insieme oggi al governo, hanno sempre avuto, purtroppo, il gusto di iniziare a sbranare al primo avviso di garanzia o indagine, legittimando i media a scatenare la caccia grossa al pericoloso criminale. Quando andava bene, ma proprio bene, si limitavano ad un silenzio assenso. Così, in questi ultimi decenni, ci siamo abituati tutti a vivere il rapporto distorto fra politica, giustizia e media: gli avversari politici si abbattono per via prima mediatica poi giudiziaria, è pacifico, e l’elementare principio della presunzione di non colpevolezza viene regolarmente calpestato. Così, puntualmente, quell’errore viene ripetuto anche oggi, scuse o non scuse. Questo grave male italiano va saputo arrestare. Fin quando una vasta fetta della politica italiana non rinuncerà al riflesso condizionato di far salire sul patibolo il sospettato al primo indizio di colpevolezza o al primo articolo di giornale nell’auspicio di trarne qualche vantaggio, la situazione non è destinata a migliorare: né per la politica, né per la giustizia, né per i giornali.

Perché allora le scuse alla Capua sì e a Berlusconi no? È questo il problema di metodo. Lasciamo stare il “plotone d’esecuzione” che ha rifilato la condanna a Berlusconi. Facciamo per un momento finta di nulla, come fanno le sinistre. Ma possibile che dopo l’ottantina di processi a cui Berlusconi è stato sottoposto, tutti scatenatisi da quando è sceso in politica, mai una volta il Pd abbia sentito l’impeto di scusarsi per le ingiuste accuse e le gogne mediatiche che ha subìto? E per tutte le volte in cui tante altre personalità sono state massacrate da inchieste giudiziarie mediatizzate, poi dissoltesi nel nulla? Se non vogliono scusarsi per l’unico processo in cui Berlusconi è stato condannato, si scusino per tutti quelli da cui è stato assolto.

Le vittime della malagiustizia, come direbbe Parmenide, o sono o non sono. Non è che sono quando ci pare o quando ci conviene. Altrimenti abbandoniamo il senso di giustizia al campo della pura soggettività, con i danni immani che ciò produce. Se il garantismo deve essere un fondamento culturale irrinunciabile di una civiltà matura come la nostra, deve esserlo sempre, non in maniera selettiva. Prima la politica tutta si affranca e si prende la libertà di capirlo, prima ritornano a funzionare le cose.