Le manovre in salita, si sa, sono scivolose. Quella che il governo Meloni si appresta a varare lunedì sarà in retromarcia: a un anno da quella licenziata in fretta e furia all’indomani della sua nomina, la prima vera legge finanziaria meloniana passa dal libro dei sogni – con il quale ha vinto le elezioni – al sonno profondo. Nel quale trova spazio anche qualche incubo. Si parla di 20 miliardi ma anche di problemi di copertura rimasti irrisolti. E per adesso, complice l’angoscioso contesto internazionale, il Mef non lascia filtrare dettagli: palla calciata in tribuna fino a lunedì. Sarà il Consiglio dei Ministri convocato in apertura di settimana a formalizzare la manovra. Fino ad allora, acqua in bocca. La certezza è che sono 15,7 i miliardi di euro in deficit a disposizione per finanziare parte delle misure, già quasi tutti impegnati tra rinnovo del cuneo e spese indifferibili. Il rebus coperture continua. Si guarda alla tax compliance ma anche alla revisione degli sconti fiscali. Altro tassello della delega, che potrebbe essere anticipato da un nuovo taglio lineare, abbassando l’asticella del reddito oltre il quale non ci sono più detrazioni dagli attuali 120mila a 100mila euro. E rimane un’incognita anche il tesoretto, che in genere è di qualche centinaio di milioni, da destinare alle modifiche parlamentari.

L’idea è quella di contenerle al minimo, per evitare il classico assalto alla diligenza. I rumors dicono che per arrivare ai 20 miliardi necessari si ricorrerà a nuove tasse, a partire da quelle di successione. Una ipotesi a cui si oppone Italia Viva. “Giorgia Meloni ha promesso in lungo e in largo che avrebbe abbassato le tasse e invece per far cassa, non trovano altra idea che innalzare la tassa di successione?”, chiede Raffaella Paita, coordinatrice nazionale di Italia Viva. “Se le indiscrezioni uscite sulla stampa si rivelassero vere, IV si batterà contro ogni aumento delle tasse: vanno abbassate, a partire da quelle sul lavoro. Il Governo – aggiunge Paita – tenga quanto meno le mani fuori dalle tasche dei cittadini se non è capace di alleggerire la pressione fiscale, come invece aveva promesso in campagna elettorale”. Ma anche Forza Italia prende le distanze, con il portavoce azzurro Raffaele Nevi che mette le mani avanti: “Tassare la ricchezza è ingiusto, il tema non è sul tavolo”.
Per provare ad attutire le reazioni il Governo ha aperto ieri sera al giro di ruota delle consultazioni con le parti sociali. Per il governo, c’erano il titolare del Mef, Giorgetti, del Lavoro Maria Elvira Calderone, delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso e l’immancabile sottosegretario alla Presidenza, Alfredo Mantovano, che è l’ombra della premier. Il primo round si è avuto alle 19 con i rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Confindustria, Abi, Ania, Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti, Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Copragri, Alleanza Cooperative Italiane.

Dopo un’ora e mezza è seguito un secondo incontro con i rappresentanti di Ance, Confimi Industria, Confapi, Confetra, Confedilizia, Confimprese Italia, Finco, Cisal, Confsal, Usb, Cida, Ciu, Confedir, Confprofessioni, Confeservizi, Confintesa. Un affollamento di sigle, delegazioni e rappresentanti che ha indispettito Maurizio Landini: “Io non vado”, ha anticipato ieri pomeriggio. “La Cgil partecipa ma senza di me”, ha sbuffato. Se ne saranno fatti una ragione. Giorgetti teme più il rating severo delle agenzie che il giudizio dei sindacati. Quello della Cisl è vigile ma non prevenuto. “Vedremo cosa il governo metterà sul tavolo e faremo le nostre valutazioni, come sempre, senza pregiudizi, senza furore ideologico ma anche senza fare sconti a nessuno”, ha dichiarato il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra. Ieri il titolare del Mef era a Marrakech per la riunione Fmi-Banca Mondiale e si è limitato a dire che lunedì si avranno gli elementi per una valutazione complessiva. Lo ha detto anche a Gentiloni, che gli risponde: “Riceveremo la legge finanziaria e poi pubblicheremo le nostre valutazioni”. Dalla Commissione si preparano a stilare osservazioni che non saranno tenere con l’Italia. Le nubi s’addensano anche dalle parti di Fitch e Standard & Poor’s, tanto che Giorgetti si fa prudente: “Da loro non si può escludere nulla. Fanno il loro lavoro”.

E poi una battuta che rivela lo stress del momento: “Anche la Bce fa il suo mestiere. Io invece da politico devo tenere conto di tutto: economia reale, famiglie, imprese. Il mio è un mestiere più difficile di quello del presidente della Banca centrale”. Segnali di sfibramento. Non ci sta, il numero due della Lega, a fare da puntaspilli. Il suo viceministro Maurizio Leo accorre in soccorso ed offre una sventagliata: “Lunedì in Cdm portiamo il decreto sulla global minimum tax, con provvedimenti sulla fiscalità internazionale riguardanti la residenza di persone e imprese. Poi un altro decreto sull’Irpef, che toccherà l’accorpamento delle prime due aliquote, e sulla mini-Ires, mantenendo il regime esistente, con agevolazioni in caso di investimenti qualificati e assunzioni”. Parole come diversivo a tempo: da lunedì saranno solo i numeri a contare.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.