Un mestiere bellissimo quello del Capo dello Stato ma stancante e pieno di responsabilità ed è una buona prospettiva sapere che «tra otto mesi il mio incarico terminerà e quindi potrò riposarmi». Lo ha detto ieri mattina Sergio Mattarella rispondendo alle domande degli alunni dell’Istituto “Fiume Giallo-Scuola Primaria Geronimo Stilton” che chiedevano lumi sul ruolo del Capo dello Stato nella repubblica parlamentare. Volente o meno, più facile la prima, il Presidente della Repubblica ha così dato il via al “gran gioco” del Quirinale. Due mesi prima del previsto, 70 giorni prima dell’inizio del semestre bianco che blinda la legislatura per sei mesi. Ma, si sa, i gruppi parlamentari sono inquieti (non tutti, a dir la verità), alcuni leader (nel centrodestra) scalpitanti di andare a governare e il Quirinale è per tutti lo snodo da attraversare. O forse meglio dire il nodo da sciogliere.

Per la prima volta Mattarella ha espresso chiaramente la sua posizione. «Tra otto mesi il mio incarico termina – ha detto ai ragazzi a cui è stata presentata l’agenda scolastica “Il mio diario” realizzata dalla Polizia di Stato – Come sapete il Presidente della Repubblica dura in carica sette anni. Io sono vecchio, tra qualche mese potrò riposarmi». Giusto il tempo, per le agenzie di stampa, di lanciare la notizia e Matteo Salvini c’è saltato sopra come un gatto. «Febbraio (quando scadrà il mandato, ndr) è lontano, ora ci sono altre emergenze – ha celiato il leader della Lega – noi abbiamo candidati nostri come è giusto che sia per il Quirinale. Certo, se il Presidente Draghi si volesse proporre, avrebbe il nostro convinto sostegno». Così poi un attimo dopo si sciolgono le Camere, andiamo a votare e il centrodestra potrà vincere le elezioni e andare a governare come dicono tutti i sondaggi. Con Salvini a palazzo Chigi mentre Draghi andrebbe al Quirinale.

Ma la partita del Colle è molto più complicata di come la vede Salvini. Partiamo dalle parole di Mattarella. I Quirinale’s watchers (gli osservatori del Colle più alto) sono divisi. «Il Presidente ha già fatto sapere per le vie informali di non aver alcuna intenzione di rendersi disponibile per un secondo mandato. Oggi ha comunicato a tutti il suo pensiero» dicono i rigoristi del Mattarella pensiero. È quello che è stato detto, lo impone la dottrina di cui Mattarella è uno dei supremi custodi. A luglio compie ottant’anni, ha fatto gli ultimi sette sulle montagne russe (ha gestito ben tre crisi di governo, la prima durata tre mesi, la seconda un mese, la terza altri due mesi), ha sorretto e puntellato la democrazia nel mezzo della pandemia e mentre i partiti giocavano a Monopoli. Ora è anche arrivato il momento di dire basta. I realisti tra i Quirinale’s watchers sono un po’ più prosaici e anche pragmatici: cambiare a febbraio il Capo dello Stato e andare al voto significa consegnare il Paese al centrodestra e avere a palazzo Chigi Salvini o Meloni oppure entrambi. Non solo, il dato più inquietante è che a febbraio 2022 il Pnrr e le sue riforme saranno nel pieno delle approvazioni e della messa a terra dei vari provvedimenti.

Un percorso delicato e obbligatorio per cui sarebbe troppo rischioso immaginare un cambio di regia. Il percorso ideale sarebbe quindi lasciare le cose come stanno – Draghi a palazzo Chigi e Mattarella al Quirinale – per riparlarne nel marzo 2023 quando la legislatura arriverà alla sua conclusione naturale. Nel frattempo, in questo anno guadagnato, l’Italia sarà vaccinata e al sicuro, avrà consolidato la ripresa, le riforme e il Pnrr avranno iniziato a dare i loro frutti e gli umori degli elettori saranno più sereni e in grado di valutare meglio il da farsi lontani dalla rabbia, dalle frustrazioni e dalle paure figlie della pandemia. Oltre a tutti questi nobili motivi, ce ne sono altri meno nobili che rendono improbabili le urne anticipate. Prima fra tutti il fatto che più della metà degli attuali parlamentari non torneranno in Parlamento, in parte perché sostituiti, in parte perché tagliati dalla riduzione di un terzo dei parlamentari.

Perché dunque ieri Mattarella ha parlato usando parole così nette? «Per far scoprire le carte a tutti gli interessati» suggeriscono i medesimi osservatori. Un po’ della serie che parlo a nuora perché suocera intenda. Le parole di ieri hanno un prologo. Il giorno prima Mattarella, in un’altra occasione pubblica, aveva “alzato” la voce ricordando ai partiti che «questo è il tempo di pensare al futuro progettandolo e realizzandolo insieme». Uno stop ai loro leader che continuano ad alzare bandierine identitarie (“è merito nostro se…”) su ogni provvedimento che invece nasce condiviso. Tutto questo provoca un battibecco infinito, alza la litigiosità e crea il rischio per qualche incidente di percorso. La raccomandazione implica in sé un’idea chiara di futuro. E allora i partiti dicano cosa vogliono fare. Salvini l’ha fatto. Draghi al Quirinale per la Lega significa poter dare all’Europa quelle garanzie di affidabilità che chiede all’Italia e per cui può anche chiudere un occhio sul fatto che due destri sovranisti e fino all’altro giorno anti-europeisti guidano il governo. Rispetto allo “schema Salvini” ci sono però due problemi.

Il primo: non tutti nella Lega condividono il suo piano. «Dobbiamo capire cosa vorrà fare alla fine Mattarella» frena gli entusiasmi del suo leader il presidente del Veneto Luca Zaia. «Anche Napolitano diceva di essere stanco ma poi qualche anno è rimasto. E poi dobbiamo capire se Draghi accetterà di candidarsi». Il secondo: non è detto che il resto della coalizione abbia tutta questa voglia di urne. Fratelli d’Italia aumenta il consenso per inerzia, stando all’opposizione e Giorgia Meloni potrebbe voler scommettere sul logoramento di Salvini per poi essere legittimata dal voto a diventare premier. Forza Italia teme le urne come un regolamento di conti interno. Dunque Salvini balla da solo.

Il mistero è come sempre nel centrosinistra. Enrico Letta ieri è stato raggiunto dalle parole di Mattarella mentre era a colloquio con David Sassoli a Bruxelles. Ed è rimasto vago. Una cosa del tipo: «L’elezione è lontana. Ora serve continuità a questo governo che deve essere l’esecutivo che fa le cose e applica le scelte. A gennaio sarà poi un’altra partita.». Un eccesso di freddezza che non è piaciuto a parecchi del Pd ieri in aula per votazioni. «Lo schema di Salvini è chiaro, il nostro invece no. Se vogliamo che Mattarella accetti un’altra candidatura, dobbiamo dirglielo adesso. È questo che ci ha voluto comunicare stamani», ha detto un deputato senior membro effettivo dei Quirinale’s whatchers. La Velina Rossa, al secolo l’ultrenovantenne Pasquale Laurito che di presidenze ne ha raccontate tante, ieri scriveva: «Caro Presidente, anche Attilio Regolo desiderava andare in pensione. Ma quando Cartagine minacciò Roma, fu il primo a dire Sì per salvare la città eterna».

Dovrebbe essere il segretario a prendere l’iniziativa. E dovrebbe farlo subito. «Siamo sicuri che Letta invece non abbia in testa altro?». Ad esempio? «Ad esempio lasciare Draghi a palazzo Chigi e mandare al Quirinale un nuovo presidente». Un nome su tutti: Romano Prodi. Mattarella invece spinge per il ministro della Giustizia Marta Cartabia. Un altro problema del segretario è che è molto difficile impegnarsi ora sulle Quirinarie quando è ancora tutta da giocare la partita delle amministrative di ottobre. Cosa succede alla segreteria Pd se dovessero andare male? “Andare male” vuol dire ad esempio non conquistare né RomaTorino.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.