«La politica è l’unica possibile soluzione ai problemi». Forse andava di fretta perché caso mai la politica non è una soluzione ma un mezzo e tuttavia Giorgia Meloni ha pensato di lasciare questa frase sul grosso libro all’entrata della mostra a Roma su Enrico Berlinguer che ha visitato l’altro giorno. La presidente del Consiglio si è aggirata tra i cimeli, gli scritti, il materiale propagandistico raccolto dagli organizzatori, tra cui l’immarcescibile Ugo Sposetti, il padrone di casa che ha accompagnato l’ospite inattesa. La quale – Giorgia – forse avrà avuto modo di sentire dalla viva voce di Berlinguer trasmessa dai video la parola “nazione” che lei ritiene, come “patria”, appannaggio della destra, ignorando che Giorgio Amendola terminava i comizi proprio con “viva la nostra Patria”.

L’erede di una scuola?

Meloni si considera, non tanto personalmente ma in quanto erede di una certa “scuola”, una professionista della politica a trecentosessanta gradi – altro che i “tecnici” che lei vuole bandire con la nuova Costituzione –, la donna destinata a portare al governo del Paese gli ex estimatori del Ventennio spezzando una loro decennale estraneità al potere, e tutto questo grazie ad un’ars politica di alto livello. Di qui il riconoscimento, nel nome del primato della politica, ad Enrico Berlinguer, lui sì totus politicus di primaria grandezza, come se, da qui a dove lui si trova, avesse voluto dirgli: come ce l’hanno fatta i “tuoi”, da Giorgio Napolitano a Massimo D’Alema, ora anche io sono finalmente arrivata nella stanza dei bottoni.

Formidabili quegli anni

Un riconoscimento al segretario del Pci, l’uomo che in quel mondo per primo e in modo notevole anche dal punto di vista teorico si pose seriamente l’obiettivo del governo che suona dunque anche come un auto-elevarsi su quel piano, lei “liberatrice” di un mondo opposto ma analogamente escluso. Formidabili quegli anni, parafrasando Mario Capanna, è l’opinione di Meloni, l’Italia del “noi” e “loro” fieramente combattenti l’uno contro l’altro, che è poi una rappresentazione tutto sommato molto molto parziale, ché in quegli anni “loro” c’erano sì ma in fondo contavano poco, i missini erano gruppetti, alla fine. L’operazione di Meloni è quella di insufflare nella testa degli italiani l’idea che, come diceva un personaggio di Nanni Moretti, “rossi e neri sono tutti uguali” ma la “pacificazione” meloniana ovviamente sorvola sul piccolo particolare che tra il suo (ex) mondo e quello di Berlinguer non ci sono affinità e non solo, com’è ovvio, dal punto di vista politico e ideologico: restano due mondi distanti per concezione della vita, della storia e della politica.

Il senso delle distanze

Pur con tutti i revisionismi e le ansie più o meno sincere di pacificazione, l’abisso che separa la sostanza del sentire dei comunisti italiani da quelli dei missini resta enorme e incolmabile e inserirsi nella scia della grande politica risulta un po’ azzardato. Gli omaggi, beninteso, vanno sempre benissimo. Specie se sono portati in buona fede, senza intenti scioccamente propagandistici e sempre tenendo presente il senso delle distanze e delle proporzioni. E senza confondere la politica con la politichetta.