Rossella Miccio, presidente di Emergency. Ieri (oggi per chi legge) il mondo solidale ha manifestato a Roma contro il “Decreto Cutro”.

La guerra alle Ong, lo stato d’emergenza nazionale, ora l’abolizione della protezione speciale ai migranti. Qual è il segno di questi provvedimenti del governo Meloni?
Un segno estremamente preoccupante. Tutti i decreti, poi trasformati in legge, partoriti da questo governo vanno in una unica direzione che non è quella di gestire la complessità dei flussi migratori ma continuiamo ad avere un approccio securitario che non contempla minimamente il rispetto dei diritti umani, e che invece di risolvere le situazioni, le complica, creando ulteriori irregolarità, ulteriore insicurezza che non va a beneficio di nessuno. Non va sicuramente a beneficio delle persone che migrano cercando un futuro migliore, ma non va a beneficio neanche delle comunità locali, degli italiani stessi.

Perché?
Perché abolire la protezione speciale vuol dire, come abbiamo già visto dopo i decreti Salvini, creare nuove masse di persone illegali che non hanno diritti, che non hanno percorsi, che non hanno sbocchi. È estremamente grave questa deriva securitaria. Sono bastati pochi mesi di attività di questo governo e già ne vediamo i risultati che in questo campo sono davvero nefasti.

Per tornare allo stato di emergenza. Il ministro Piantedosi ha puntualizzato che si tratta di una emergenza “tecnica”.
Ci sarebbe da ridire se non fossimo di fronte a una situazione tragica. Il ministro prova ad addolcire la pillola, a minimizzarne la gravità. La realtà è che siamo di fronte a una ulteriore restrizione dei diritti. Un fatto gravissimo. Stiamo smantellando i valori fondanti della nostra Repubblica, così come sono sanciti dalla Costituzione, a colpi di decreti.

E la sponda sud del Mediterraneo è sempre più esplosiva.
È un Far West il Mediterraneo. Noi lo vediamo quotidianamente. Stiamo per arrivare, con la Life Support, dopo quattro giorni di navigazione nel porto di Marina di Carrara dove accompagneremo le 55 persone che abbiamo salvato nell’ultima missione in mare, ma non sappiamo quanti sono morti in queste ore, quanti sono stati catturati e riportati nei lager libici. È una situazione esplosiva. La Tunisia è degenerata per tanti motivi interni ma anche internazionali. Il rischio è che si trasformi in una seconda Libia. La cosa preoccupante è che invece di capire che l’approccio che è stato usato con la Libia non ha funzionato, e lo vediamo tutti i giorni da anni, quello sciagurato modello lo riproponiamo per la Tunisia, e magari in seguito per l’Egitto, il Libano e chissà poi per quale altro paese. In Libia continuiamo a finanziare coloro che sono responsabili di violenze e abusi. Questa si chiama complicità. E questo sarebbe il tanto sbandierato “Piano Mattei” per l’Africa? Un disastro annunciato. Finanziare, armare, addestrare chi fa il lavoro sporco al posto nostro.

Un disastro di cui l’intera Europa è partecipe.
Assolutamente sì. L’Italia è sicuramente il paese più esposto, anche per motivi geografici, indipendenti dalla nostra volontà: certo è che dovrebbe essere l’Europa ad avere la competenza e la lungimiranza di sviluppare politiche serie di migrazioni, creare vie legali, porre al centro delle negoziazioni con qualunque paese terzo il rispetto dei diritti umani, cosa che non viene fatta. L’unico obiettivo che s’intende praticare è quello dell’esternalizzazione delle frontiere. E i risultati continuano a essere quelli che vediamo quotidianamente: le morti in mare ma anche quelle in terra – si pensi alla rotta balcanica -. Non trovo nulla di razionale nel modo in cui l’Europa da anni sta approcciando questa situazione. Non si capisce quale sia il senso di queste scelte. La logica vorrebbe che si affrontassero su basi completamente diverse. Invece l’unica cosa di cui si parla, anche a Bruxelles, sono i rimpatri, il rifinanziamento di muri in terra, o sbarramenti in mare, ma non si affrontano i problemi alla radice. Ormai da anni l’Europa è complice degli abusi, delle torture di cui siamo testimoni, testimoni scomodi, tutti quanti noi, soprattutto le operatrici e gli operatori delle Ong, che dalle attività in mare come in terra raccogliamo le testimonianze delle persone che hanno la fortuna, dopo percorsi che non augurerei neanche al mio peggior nemico, di arrivare da noi. Ma questa consapevolezza non l’abbiamo solo noi. Ci sono pagine e pagine di rapporti delle Nazioni Unite, della Corte penale internazionali e di altri tribunali, anche italiani, tutti quelli che analizzano le storie e le richieste di asilo, di protezione di queste persone. Sono dati assolutamente noti, certificati, che richiederebbero un senso di responsabilità, oltre che di umanità, che né l’Europa né l’Italia hanno in questi anni dimostrato.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.