Lo scenario
Mercati, il rally estivo è finito ma la ripresa è già alle porte

Quel che stiamo vedendo dall’inizio di settembre sui mercati finanziari è «una correzione e non l’inizio di un bear market», gli investitori aspettano con apprensione le presidenziali americane e con una chiara vittoria di Joe Biden e dei democratici «i corsi azionari potrebbero soffrire, ma solo inizialmente e non nel medio termine». Andrea Delitala, responsabile Euro Multi Asset di Pictet Asset Management, ritiene che il rally estivo sia definitivamente alle spalle ma che ci sia spazio per una ripresa delle quotazioni. Il Riformista Economia lo ha raggiunto telefonicamente nella sede milanese di Pictet.
Cosa sta succedendo nelle borse?
«Agiscono tre elementi: il primo è dominante, e consiste nell’andamento della pandemia, di nuovo preoccupante anche in Europa; il secondo elemento è l’incertezza politica negli Stati Uniti che intanto provoca ritardo nel varo di un nuovo e quanto mai necessario pacchetto fiscale; il terzo elemento riguarda la banca centrale americana, che cambiando il suo modo di condurre la politica monetaria ha lasciato aperti dubbi su come interpretarla».
Quali dubbi? In pratica la Fed ha detto che terrà bassi i tassi a oltranza, anche se l’inflazione dovesse in futuro salire oltre il 2%.
«Certo, prevalgono le aspettative secondo cui non ci saranno aumenti del costo del denaro almeno fino al 2023. Ma la Federal Reserve non ha chiarito quale sia la finestra temporale in cui sarà calcolata l’ “inflazione media”, diventata suo parametro. E ci si chiede se tollererebbe mai un’inflazione al 3%. Questo crea incertezza, che è esattamente ciò che al mercato non piace. Inoltre, il mercato avrebbe voluto qualche novità sulla quantità di moneta e sulla durata media del programma di acquisti di titoli di stato. E non l’ha avuta».
E questo non potrebbe innescare una fase ribassista?
«Non credo proprio. Abbiamo visto una correzione delle euforie di agosto, da considerarsi davvero un’esagerazione. Non ci saranno certo rimbalzi fino ai livelli raggiunti nell’estate in America, Ma ritengo ci possa essere una ripresa. Più sana, graduale e corale. Anche per le borse europee, non solo per quelle americane. Che hanno vissuto una fase simile al fenomeno “dot com” di inizio secolo, con rialzi ingiustificati dovuti anche a effetti tecnici, all’aumento della necessità di hedging da parte di investitori privati. Credo proprio che finite le incertezze elettorali negli Usa, il mercato possa riprendersi. Magari con acquisti su titoli meno tecnologici, più tradizionali e legati al valore industriale. In vista anche del vaccino, che entro pochi mesi potrebbe disinnescare l’elemento sfavorevole tuttora dominante. Se l’orizzonte e di uno o due trimestri al massimo, quello che viviamo non è l’inizio di un bear market».
L’incertezza politica però ritarda nuovi interventi di spesa pubblica a sostegno dell’economia Usa. I mercati li aspettano con ansia.
«La pre-tattica elettorale ha allontanato nel tempo il pacchetto fiscale. C’è sicuramente bisogno di un intervento che possa almeno smussare il fiscal cliff , il vuoto che si crea con l’esaurirsi delle misure di sostegno economico. Nessuna delle due parti vuol dar vantaggi all’altra, e non si è arrivati a una soluzione bipartisan. Resta da vedere che pacchetto potrà esser definito dopo le elezioni. Forse sarà un pacchetto colorato di blu».
E Il blu è il colore del partito democratico. Che scenario si configura se vince Biden?
«Se vince senza assicurarsi una maggioranza netta e il Congresso è diviso, i provvedimenti di politica fiscale saranno di compromesso. Non ci saranno grandi modifiche della tassazione delle aziende, solo ritocchi rispetto ai budget di Trump. Se invece ci fosse una Blue Wave, una vittoria democratica a valanga, si aprirebbe la strada a interventi di spesa pubblica più incisivi e di tipo ridistribuivo. Che sarebbero probabilmente finanziati anche da aumenti delle imposte progressive sulle persone e di quelle sulle società. Con l’effetto di spingere la crescita economica e quindi gli utili aziendali lordi, che però verrebbero erosi da una tassazione più pesante. Inoltre, la maggior crescita creerebbe un minimo di pressione sui prezzi e potrebbe indurre la Federal Reserve a tagliare i tassi d’interesse prima del previsto. E in questo caso le borse non potrebbero più avvantaggiarsi della caduta dei tassi reali che nei mesi scorsi ha influito sul rapporto tra utili e rendimenti creando multipli alti e alimentando così il rally che abbiamo vissuto. Una Blue Wave provocherebbe una contrazione dei multipli, perché i tassi d’interesse invertirebbero il loro corso, premendo dal basso sul rapporto utili/rendimenti».
Quindi dal punto di vista del mercato è meglio che vinca Trump?
«Non so se dirla così, e non mi piace dirla così. Però i mercati potrebbero inizialmente soffrire. Ma solo nel breve e non nel medio termine. Perché con Biden alla Casa Bianca si cercherebbe di porre rimedio agli squilibri e alle diseguaglianze che a partire dall’ultima recessione hanno caratterizzato non solo la società ma anche l’economia americana: alcuni settori industriali hanno avuto trattamenti clamorosamente vantaggiosi, controproducenti per la produttività e per una crescita sana. Se vince Biden, probabilmente gli investitori tornerebbero a comprare i titoli delle banche e quelli che hanno curve di rendimento più ripide e generano più valore. Si compreranno i titoli ciclici, e si sarà meno entusiasti del Nasdaq e della tecnologia».
E se poi Trump vince la sua battaglia personale contro il virus e pure le elezioni?
«Allora cambierebbe poco. Perdenti netti diventerebbero probabilmente i mercati emergenti».
Per questioni di commercio internazionale?
«Assolutamente sì. Ed è il caso di notare che se tutto sommato la ripresa dell’economia mondiale è più rapida del previsto lo si deve anche al fatto che i Paesi ricchi hanno saputo preservare la domanda per i consumi, e gli emergenti l’offerta. Nonostante tutte le chiacchiere sulla de-globalizzazione, il mondo cresce in base al vecchio patto: voi producete e noi consumiamo. In questo momento, gettare sabbia negli ingranaggi come ha fatto negli ultimi due anni Trump sarebbe controproducente per tutti».
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