Una delle tante cose su cui occorrerebbe intendersi quando si discute di immigrazione riguarda il rapporto dell’Italia con “l’Europa”: cioè la vaga entità cui si fa appello qui da noi, perlopiù in tono piagnone e recriminatorio, quando pretendiamo che da lassù piovano soluzioni provvidenziali per sistemare le italianissime magagne che siamo abituati ad attribuire, alternativamente, al cinismo del destino o alle cospirazioni forestiere che attentano a un modello – quello Made in Italy – altrimenti perfetto.

Con l’immigrazione la scena si ripete in una rappresentazione anche più ipocrita. Per quanto sia vero, infatti, che l’Italia è immediatamente esposta all’urto delle popolazioni migranti dalle coste africane e mediorientali, resta che il nostro Paese fatica ad accogliere e a integrare questa gente meno per indisposizione fisica e naturale che per scellerata scelta politica, meno per costituzionale incapacità recipiente che per colpevole inadeguatezza normativa: per dirla semplice, non per il fatto che non può farlo, ma per il fatto che non sa e non vuole farlo. E’ chiaro che un mercato del lavoro e dell’assistenza regolato male soffre tanto più se deve fagocitare quote aggiuntive di popolazione: ma il problema c’è perché quel mercato è regolato male, non perché altri premono per entrarvi.

E’ chiaro che un sistema urbanistico e abitativo simultaneamente rigido nelle prescrizioni minute e tollerantissimo nel lasciare irrisolte situazioni di abuso immane è inadatto a offrire dimore decenti e regolari a chi arriva con pochi mezzi: ma il degrado delle baraccopoli c’è perché sono degradate, non perché gli immigrati sono costretti ad abitarvi. E’ chiaro che un ordinamento delle regolarizzazioni degli immigrati concepito in modo sanzionatorio e ghettizzante produce disordine e allarme sociale: ma la destinazione dell’immigrazione all’illegalità è l’effetto del meccanismo che la rende clandestina e la estromette dunque dall’ambito della legalità, non è lo sbocco inevitabile delle propensioni delinquenziali degli immigrati. E così via.

Ecco, in questo quadro, la comune richiesta sovranista di aiuto nei confronti dell’”Europa” non si rivolge a ottenere collaborazione per integrare gli immigrati, e cioè per risolvere i problemi tutti italiani che si frappongono a quel risultato: piuttosto, quell’istanza reclama il benestare europeo a che l’Italia sia libera di respingere i migranti senza tante storie. In buona sostanza: che il porto chiuso e il blocco navale siano europei e non italiani; e che in faccia ai migranti non si agiti più soltanto il rosario del ministro dei respingimenti, ma anche la bandiera stellata di un’Unione finalmente capace di difendere il confine italico anziché soltanto di imporci il calibro delle zucchine. Andrebbe benissimo, la richiesta di aiuto all’Europa: se non fosse quella che in modo più o meno dichiarato è effettivamente, e cioè che ci diano manforte nel ributtare in mare i migranti. Perché di questo e non di altro – sotto sotto – si tratta: non che ci aiutino a integrali, ma che ci aiutino a respingerli.