Quattro segnalazioni in due giorni, sei in una settimana, venti in un mese. Sono i numeri più recenti dei casi di violenza raccontati o denunciati dalle donne che a Napoli scelgono di rivolgersi ai centri antiviolenza perché vittime di botte e minacce continue. Non tutte alla fine denunciano, segno che c’è ancora resistenza ad affrontare il percorso legale, e soprattutto le conseguenze e le incognite di quello stesso percorso. L’età media delle vittime va dai 20 ai 40, con una percentuale maggiore tra le donne trentenni. Raccontano i loro inferni domestici, descrivono la paura e il dolore per i maltrattamenti e le ritorsioni che sono costrette a subire da parte di mariti e compagni violenti o di ex che non si rassegnano all’idea di una relazione sentimentale finita. Soltanto ieri, a Ercolano, cittadina alle falde del Vesuvio, i carabinieri hanno eseguito, in due distinte operazioni, due arresti di mariti violenti.

E, a leggere le statistiche, due in un giorno sono un numero che rappresenta più la regola che l’eccezione. Il fenomeno della violenza di genere, infatti, non cala e resta un problema, un dramma che non appartiene soltanto alle vittime ma ha rilevanza generale e sociale. Se la media delle denunce è di una al giorno in tutta Napoli e la provincia, nei centri antiviolenza le segnalazioni possono arrivare anche a due o tre al giorno. Negli ultimi due mesi, però, il trend delle denunce è cambiato, segnando una battuta di arresto rispetto al passato. «Le telefonate sono più esplorative che finalizzate ad arrivare alla denuncia», spiega Rosa Di Matteo, presidente dell’associazione Arcidonna e responsabile del centro antiviolenza Aurora. Le domande più frequenti che si sente rivolgere sono: «Se vengo al centro antiviolenza, poi sono costretta a denunciare?» Oppure «se non denuncio posso comunque seguire un percorso con voi?»

E sono il segnale di un disperato bisogno di aiuto, ma anche di una grande paura delle conseguenze di un’eventuale azione legale. Molte donne vittime di maltrattamenti e violenze temono di vedere i propri figli affidati al padre violento o a case famiglie (tanto che è nato un comitato contro quella che viene definita “violenza istituzionale”), altre non hanno fiducia nella certezza della pena per il responsabile. E sullo sfondo resta il profilo di una società ancora arretrata. «Serve un cambiamento culturale – spiega Di Matteo – Le donne negli anni sono cambiate ma il cambiamento non è stato recepito completamente nella società. Siamo rimasti al Medioevo, ci sono ancora troppe famiglie dove prevale una cultura patriarcale, dove la donna viene vista come l’utero che ha messo al mondo i figli, come qualcosa su cui esercitare un diritto di proprietà. Ed è in questi contesti che la violenza si manifesta, soprattutto quando la donna si sposta dal posto in cui il patriarcato l’ha collocata, come in caso di separazioni».

Come risolvere il problema? «Serve più cultura, serve più formazione – sostiene la presidente di Arcidonna – Vanno formati e specializzati i magistrati, le forze dell’ordine, gli educatori. Bisogna puntare sulla cultura antiviolenza». Il tema è attuale e delicato. Di recente l’Istat ha analizzato il fenomeno realizzando uno studio sui dati relativi al numero verde 1522 (il numero attivo 24 ore su 24 e messo a disposizione dal dipartimento Pari Opportunità per dare aiuto alle vittime di violenza e stalking). Lo studio si è concentrato su marzo e giugno 2020 e ha analizzato l’andamento del fenomeno della violenza domestica durante il periodo della pandemia e il trend delle richieste di aiuto in tutta Italia.

È emerso che telefonate e chat al numero verde antiviolenza, durante e post lockdown, sono più che raddoppiate rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Addirittura si è rilevato un aumento del 119,6 per cento, raggiungendo i 15.280 contatti. In diminuzione, invece, le telefonate fatte per errori non intenzionali (703) e voluti (quindi scherzi o critiche). In particolare, c’è stato un boom delle richieste di aiuto via chat, quintuplicate rispetto allo scorso anno: 417 a 2.666 messaggi. E sono risultate in crescita anche le chiamate per avere informazioni sulla tipologia di servizi offerti dal 1522 (+23,9%) e sui numeri utili per avere supporto sociale e psicologico (2.979 parti al 19,5%).

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).