Non c’è niente di peggio che vivere insieme al proprio carnefice. Non c’è niente di peggio che vivere insieme al proprio carnefice mentre fuori imperversa la peggior pandemia che in Occidente riusciamo a ricordare, e che ha obbligato buona parte della popolazione mondiale alla quarantena forzata.

In tutto il mondo istituzioni, forze di polizia e associazioni del settore hanno lanciato l’allarme sulle violenze domestiche. Ma se in Inghilterra le chiamate ai numeri contro gli abusi sono aumentate del 65% nell’ultimo weekend, in Italia le richieste d’aiuto sono pericolosamente calate. Le chiamate al 1522, il numero anti violenza, sono diminuite del 55% e sono dimezzate anche le denunce per maltrattamenti.

Per rispondere all’emergenza, la Commissione d’inchiesta del Senato sul femminicidio, presieduta da Valeria Valente, negli ultimi giorni ha chiesto al governo di inserire nel decreto Cura Italia strumenti in grado di fornire più tutela alle donne vittime di violenza: 4 milioni per il potenziamento delle strutture antiviolenza, un fondo di 5 milioni per garantire percorsi di sostegno alle donne vittime di violenza, ma anche le udienze necessarie ad allontanare gli uomini violenti dall’abitazione vadano avanti.

Ma l’emergenza attraversa l’intera società, come ha raccontato la Bbc che ha riportato la testimonianza di due donne, ai capi opposti del mondo, in due società, quella indiana e quella statunitense, così diverse per cultura, ordinamento e tradizione.

La prima storia è quella di Geeta: da quando l’India ha dichiarato il lockdown ha dovuto rinunciare a frequentare segretamente le lezioni per imparare a leggere, scrivere e cucire. Voleva provare ad essere economicamente indipendente dal marito, così da andare via insieme ai suoi figli. Già prima dell’inizio della quarantena gli episodi di violenza si erano intensificati. Suo marito lavora come autista di risciò, e lo scoppio della crisi ha dimezzato le sue entrate: da 1.500 rupie al giorno (meno di 20 euro) a 700 rupie al giorno. La sera rientra a casa, ubriaco e sfoga la sua rabbia su Geeta. Rompe le bottiglie di alcool contro il muro, i bambini di Geeta si riparano dietro di lei. Per fortuna l’alcool fa il suo corso e cade in un lungo sonno sul materasso condiviso da tutta la famiglia

“Ci è voluto del tempo per calmare i bambini”, racconta Geeta. “Hanno visto il padre arrabbiato molte volte nella loro vita, ma nelle ultime settimane è stato peggio. Lo hanno visto lanciare cose contro il muro e tirarmi per i capelli“. Le violenze non sono una novità, già durante la prima notte di nozze l’aveva colpita. Con la chiusura delle scuole i bambini passano tutta la giornata nella loro piccola casa in un quartiere rurale. Ma la loro presenza, anziché placare la violenza del marito, sembra farla crescere. “Di solito riserva la sua rabbia per me, ma ha iniziato a urlare contro di loro per cose stupide, come una tazza lasciata sul pavimento. E allora dico qualcosa per distogliere la sua attenzione in modo che possa essere arrabbiato con me, ma più tempo siamo insieme, e meno riesco a pensare a modi per distrarlo”. 

L’altra storia viene dagli Stati Uniti ed è di Kay che ha fatto ritorno nella casa che aveva giurato di non vedere mai più, quella del padre che ha abusato di lei da quando era bambina. Prima dello scoppio della pandemia viveva insieme alla sorella e alla madre, alle quali non è ancora riuscita a confessare tutta la verità sugli abusi subiti. La stava aiutando la terapia, ma il Covid-19 ha bloccato tutto. È stata proprio la madre, che soffre di problemi mentali, a spingerla ad andare a stare dal padre, dopo essere stata licenziata dal suo lavoro a ore.

“È qui tutto il tempo”, racconta Kay dalla sua stanza in quella casa, “durante il giorno guarda la TV sul suo computer in salotto. Di notte lo sento guardare i porno.” Capisce che è sveglio quando lo sente in cucina preparare il suo frullato per la colazione. “Lo odio così tanto, è così forte, il suono del frullatore mi pietrifica. È l’inizio della mia giornata, quando so di dover essere vigile.” In realtà non riesce a dormire molto in quella casa, la sua porta non ha una serratura e non sente mai al sicuro. C’era una routine nell’abuso: accadeva quando Kay faceva qualcosa per cui lui potesse irritarsi. Quindi cerca di stargli il più possibile lontana e lascia la sua stanza solo per correre in bagno e prepararsi qualcosa da mangiare in cucina. L’ultima volta che furono bloccati insieme in casa la violenza fu particolarmente atroce.

“Si comporta come se stessimo vivendo uno strano momento, ma non fa riferimenti agli abusi“, dice. “Questo cosa mi fa impazzire. Non ha ancora fatto nulla ma l’attesa mi sta uccidendo“.