Emergenza coronavirus
Anche stare a casa è pericoloso, è allarme violenza sulle donne
Anche nell’ultimo decreto del governo sul Covid-19 non c’è nulla che riguarda un’altra emergenza, l’emergenza che esiste da prima, radicata purtroppo nella società italiana: è la violenza degli uomini sulle donne. Un’emergenza nell’emergenza che ora rischia di esasperarsi ancora di più, molto di più. Perché se c’è un luogo dove le donne sono insicure è quella casa che oggi è diventata baluardo contro il coronavirus.
Se vogliono non essere contagiate, le donne dovranno stare tra le mura domestiche, ma è proprio lì – nel 90 per cento dei casi – che vengono perpetrate violenze psicologiche e fisiche. Fino alla morte. Il 70 per cento dei femminicidi è commesso dai mariti, dai compagni o dagli ex. Per molte donne oggi restare a casa vuol dire stare in prigione, significa rischiare la vita.
La rete Di.Re dei centri antiviolenza ha lanciato l’allarme e chiede al governo di intervenire. «La diminuzione delle richieste che stiamo registrando nei nostri 80 centri – spiega la presidente Antonella Veltri – ci preoccupa. Sulla base della nostra esperienza il silenzio non è segnale positivo. Semplicemente indica le difficoltà che le donne incontrano a chiedere aiuto». Se tuo marito sta dentro casa, come fai a telefonare al numero verde del ministero, il 1522? O a chiamare la polizia? O direttamente un centro antiviolenza della tua città? Impossibile.
Eppure è proprio nei periodi di convivenza forzata che aumentano i casi di violenza, accade a Natale, a Pasqua, durante le ferie. Più si sta insieme, più crescono le possibilità. Ora queste possibilità sono alle stelle. Per questo i centri consigliano alle donne di ritagliarsi uno spazio per poter parlare liberamente, mandando il marito a fare la spesa in maniera tale da poter chiedere aiuto. Un piccolo trucco che può salvare la vita.
Poi ci sono le richieste per affrontare il coronavirus, a partire dagli strumenti per restare al lavoro. I centri restano aperti e anche le case rifugio dove le donne che vanno via di casa trovano protezione. Le operatrici non hanno mascherine né guanti, con un rischio di contagio molto alto. Mancano inoltre, ed è uno dei problemi più grossi, le strutture per mettere in quarantena le donne colpite dal Covid-19 prima di accoglierle negli spazi già esistenti.
Come i medici e gli operatori sanitari, le donne che lavorano nei centri antiviolenza sono in prima linea, in un fronte che esiste da millenni ma che oggi diventa ancora più difficile da sostenere.
«Al governo – sottolinea la presidente Veltri – chiediamo impegni seri e fattivi». La ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, intervenendo ieri mattina a Rai Radio Uno, ha promesso di sbloccare i finanziamenti già previsti per i centri nel 2019 e di verificare la disponibilità di nuove strutture da destinare all’accoglienza delle donne che subiscono violenza e che hanno bisogno della quarantena. L’impressione, come in tutta la vicenda che riguarda il coronavirus, è che l’azione del governo sia pensata per i soggetti più forti, meno esposti alle difficoltà.
Carcerati, operai, partite Iva, precari, migranti: chi ha meno, rischia in questa fase di aver ancora di meno e di non rientrare nel piano di intervento. Questo riguarda anche le donne. Soprattutto le donne. Perché le misure previste, e al momento non sostituibili, sono pensate per la famiglia tradizionale.
E non riguarda solo il discorso sulla violenza, ma anche la capacità psicologica di reggere l’isolamento per lungo tempo. Ma se stare a casa è l’unica garanzia di sfuggire al contagio, allora perché chi dovendo comunque lavorare, non è stato da subito tutelato? E perché chi invece in casa rischia di essere uccisa, o picchiata, o umiliata, non è stata da subito messa nelle condizioni di poter andare via o di chiedere aiuto?
Si è già detto, ma diventa sempre più vero, che l’emergenza sta facendo risaltare con forza problemi già esistenti, a partire da una crisi drammatica della democrazia. In questo caso emerge una realtà in cui la libertà delle donne, in primis la libertà di vivere e di vivere come meglio credono, non diventa mai questione politica. Ma solo quando diventerà questione politica, allora si inizierà davvero a sconfiggere la violenza degli uomini sulle donne. E qui il Covid-19 c’entra poco. È un altro virus, quello che va sconfitto.
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