La furia di Victor Osimhen si è abbattuta anche sull’Udinese, regalando agli azzurri la vittoria e la possibilità di giocarsi il campionato fino alla fine. Dopo la sosta, a Bergamo il Napoli dovrà però fare a meno del centravanti nigeriano, squalificato per un’ammonizione ingenua nel finale di gara. Luciano Spalletti dovrà tirar fuori un altro coniglio dal suo cilindro di prestigiatore della panchina, viste le assenze di Petagna, Rrhamani e Di Lorenzo, per il quale si teme un mese di stop.

La banda bassotti dell’attacco napoletano è chiamata all’impresa contro l’Atalanta, squadra che fa della fisicità e dell’intensità i suoi punti di forza, ma il Napoli ha già dimostrato di saper stupire nelle difficoltà, e la sfida agli orobici è forse una delle ultime occasioni che Dries Mertens avrà da qui alla fine per piazzare una zampata decisiva in chiave scudetto. Per Lorenzo Insigne, invece, è la possibilità di riscattare una stagione mediocre sul piano del rendimento, sia nel club che in nazionale. Non a caso, nella sciagurata sconfitta contro la Macedonia del Nord che è costata la seconda eliminazione consecutiva dai gironi del Mondiale il capitano azzurro, autore di una prova inconsistente, è stato il primo a essere sostituito. Non che gli atri abbiano fatto meglio, ma sembra proprio che i riflettori del grande calcio si stiano spegnendo senza applausi per Insigne, che da maggio lascerà sia il calcio europeo che la nazionale a poco più di trent’anni. Un finale amaro che un professionista serio e profondamente legato alla città come Lorenzo non meriterebbe: sta a lui, tuttavia, ribellarsi sul campo a questo triste viale del tramonto.

L’Italia, invece, passata in pochi mesi dalle stelle alle stalle, farebbe bene a interrogarsi sullo stato comatoso del calcio italiano, di cui il fallimento sportivo della nazionale è solo la logica conseguenza. L’Europeo 2020 (come i mondiali 2006) è stato un’eccezione prodotta dalla forza della tradizione, che nel calcio come nel rugby ha sempre un peso, ma la verità è che la serie A è stata per troppi anni un gigante di cartapesta, privo di trasparenza nel governo dei bilanci, dei calendari, degli arbitri, e drogato da plusvalenze fittizie e da un sistema di compravendita dei calciatori che ha favorito la nascita di cartelli e di rendite di posizione, mortificando ogni potenzialità di crescita. Ancora una volta in pochi anni la Juventus, non certo l’unica ma sicuramente la massima beneficiaria di questo sistema in Italia (mentre il suo nanismo diventava sempre più imbarazzante in Europa), è finita sotto inchiesta, e ancora una volta è la giustizia penale a muoversi mentre quella sportiva arranca o fa finta di nulla. Il re è nudo, e non basterà licenziare Roberto Mancini se Juve e Genoa per anni si sono scambiati illustri carneadi a cifre stellari, e poi il CT dell’Under 21 è costretto a guardare in serie C per le convocazioni.