La tregua è finita. Dopo la sosta per le nazionali e in attesa della proclamazione ufficiale del nuovo indaco, prevista per lunedì prossimo a mezzogiorno, per il Napoli e per Napoli è il momento della verità. Come Martín Santomé, piccolo funzionario uruguayano protagonista suo malgrado della splendida novella di Mario Benedetti, che passa l’ultimo anno prima della pensione a ripensare al passato e a speculare dolcemente sul futuro prima dell’incontro fatale con Laura Avellaneda, così mister Luciano Spalletti ha potuto godere di una quindicina di giorni per riflettere sul futuro della stagione del suo Napoli.

Come proseguire nel momento magico, cominciando dalla partita piena di insidie contro il Torino? Come gestire il destino incerto di capitan Lorenzo Insigne, come superare gli scogli della Coppa d’Africa e della coperta assai corta dei terzini? Domande che si fanno anche i tifosi che torneranno ad affollare lo stadio Diego Armando Maradona domenica pomeriggio, sebbene senza garantire il sostegno delle curve e del tifo organizzato, vittima di una masochistica caccia alle streghe che non trova riscontri nel resto d’Italia. I prossimi mesi, fino a dicembre, chiariranno le ambizioni del Napoli, che ha bisogno di tenere alto il rendimento della sua black back-bone, la spina dorsale africana che soffia come un impetuoso scirocco, ma che allo stesso tempo deve recuperare talenti ormai spariti e che però potrebbero alla lunga essere altrettanto decisivi, su tutti Faouzi Ghoulam e Dries “Ciro” Mertens. Vedremo se Spalletti, oltre che per le partenze sprint, è attrezzato pure per i piccoli miracoli.

Anche per Gaetano Manfredi il tempo dell’attesa volge al termine. Dopo le interviste a reti unificate, tributo doveroso alla franca vittoria e nelle quali il nuovo primo cittadino ha fatto uso abbondante di parole iconiche ma ahimè molto distanti dalla normalità della macchina comunale, come competenza, efficienza, velocità, organizzazione, da lunedì si fa sul serio. Il primo grande scoglio, la vera cartina di tornasole per capire l’effettiva capacità dell’ex rettore della Federico II ed ex ministro dell’Università di tenere a bada l’allegro caravanserraglio che lo ha sostenuto in campagna elettorale, sarà la formazione della giunta. All’esercito furioso di candidati, tra i quali si segnalano i mille che, tra il Comune e le Municipalità, hanno raccolto zero voti in un esercizio di plastica dimostrazione della crisi profonda della democrazia rappresentativa, si è sostituito un manipolo meno numeroso ma altrettanto aggressivo di aspiranti assessori.

Ce n’è per tutti i gusti: l’immancabile ministeriale che “può alzare il telefono per chiamare Roma”, i soliti professori universitari di tutte le fogge e colori, e poi le varie quote rosa, green e generation X e Z. Povero Manfredi, un assedio non facile da tramutare in una scelta politica vincente, e per di più la prima. Martín Santomé alla fine ci andò in pensione e, pensando al tempo che «finalmente sarebbe stato ai suoi ordini», continuava a ripetere: «Che ne farò di lui?». Al nuovo sindaco di Napoli bisogna augurare che il poco tempo che gli rimane sia sufficiente per cominciare con il piede giusto.