Il mondo è orribile e l’umanità che lo abita è pessima, questo ci dice “Napoli milionaria” che è forse la più profonda opera di Eduardo: eppure egli, nel suo fondo morale illuminista, alla fine uno spiraglio di luce lo fa filtrare, un filo di speranza, attraverso l’immortale ultima battuta del protagonista, “Ha da passà ‘a nuttata”: cioè la nuttata di Rituccia, figlia dei due protagonisti, la bambina tra la vita e la morte metafora della nuttata dell’umanità intera sospesa tra la guerra – “che nun è fernuta” – e una pace che pare non è di questo mondo, quella “pace senza morte”, come il grande drammaturgo napoletano scrisse in una delle sue poesie più belle.

La grande opera

Il pessimismo di Eduardo sul genere umano, che era quello di Pirandello però ben calato nella sua realtà sociale, infine incontra un sussulto di dignità: ma sarà solo un sussulto o un nuovo inizio? Questo è l’interrogativo che De Filippo scaglia sulle coscienze degli spettatori: e bisognerà aspettare che passi ‘a nuttata per sapere, ammesso che si potrà sapere, come finirà la storia. Si tratta di uno dei massimi capolavori eduardiani, quella che ai tempi riscosse un enorme successo (divenne anche un film e poi un’opera lirica), opera altamente morale e drammatica che inizia come di prammatica con una prima parte comica per volgere presto in una situazione quasi dark, diremmo oggi.

La trama

La vicenda di Gennaro Iovine è ambientata all’inizio nel 1943, è un povero ferroviere marito di donna Amalia che fa i soldi con la borsa nera e amoreggia con il suo compare in affari Settebellizze mentre Gennaro è partito per il fronte da cui tornerà, ignorato nel suo triste tentativo di spiegare cos’è la guerra, per scoprire che la moglie ha fatto quello che ha fatto: i soldi, e disonestamente. Lo scenario del vicolo vede anime perse, un’umanità non cattiva ma pre-moderna e credulona che si arrangia a fare soldi appunto con la borsa nera o con i furterelli di figlio di Gennaro, anche questo deve vedere il pover’uomo. A guerra finita tutti ridono e mangiano, tranne lui, Gennaro Iovine, l’uomo che ha visto l’orrore: “Ma basta don Gennà, mo’ pensiamo a mangiare che vi dovete irrobustire”, gli dicono mentre a lui ribolle il sangue per la guerra tra i popoli e la guerra nella su famiglia. E alla fine giunge la tragedia della figlioletta malata che si può salvare solo con una medicina che risulta introvabile, quando spunta il Ragioniere, un pover’uomo che era stato depredato da Amalia che possiede il farmaco vitale: e ne fa dono alla donna che lo aveva umiliato e offeso con un gesto di quasi disumana generosità che brucia alla donna molto più di un vendicativo rifiuto a dare la medicina vitale che forse salverà la bambina. Ci si può riconciliare, dunque. La guerra è finita davvero o no? E dunque, venendo al film televisivo andato in onda lunedì su Rai1 con grande successo di pubblico (tre milioni settecentomila spettatori!), non sapremmo dire se questo rovello esistenziale venga limpidamente fuori come nella commedia. È il problema di tutte le riduzioni che, proprio in quanto tali, tolgono battute, personaggi, situazioni teatrali.

Per le generazioni più giovani

Probabilmente va benissimo così al grande pubblico che non è mai andato a teatro, tantomeno a vedere Eduardo (ormai siamo in pochi), e che merita comunque di assaporare il senso profondo della sua opera. Ben venga dunque questa e tutte le altre riduzioni se possono restituire il genio di Eduardo De Filippo alle generazioni più giovani. E alla fine bisogna dire che Eduardo c’è eccome nel film tv diretto con evidente passione da Luca Miniero che ha cercato una difficile combinazione tra tradizione e attualità, resa quest’ultima grazie all’improvviso finale dopo la citata famosissima ultima battuta con la musica di Pino Daniele che si eleva sulla Napoli notturna di oggi. Va detto, ne accennavamo, che certi tagli sono dolorosi e non sempre comprensibili, come la tirata del Ragioniere all’atto di regalare la medicina per Rituccia (“Se non mi fossi tolto la camicia, i figli miei non sarebbero morti di fame? Come vedete, chi prima e chi dopo deve, ad un certo punto, bussare alla porta dell’altro”, si legge nel testo).

Lunghi applausi

Così come mancano le scene più comiche probabilmente per far risaltare meglio il senso amaro dell’opera. Ma ciò detto resta da soffermarsi su quella che secondo noi è la ragione principale del grande successo di questa edizione di “Napoli milionaria”, vale a dire le prove degli attori a partire ovviamente da Massimiliano Gallo (Gennaro Iovine) e Vanessa Scalera (donna Amalia), coppia collaudatissima e molto amata per la serie tv di Imma Tataranni e già apprezzata per le loro interpretazioni di un altro capolavoro, “Filumena Marturano”, che per davvero riesce nella non facile impresa di rinverdire i fasti della grande recitazione napoletana e eduardiana (essendo, è chiaro, impossibile ogni paragone con Eduardo e Titina o Regina Bianchi). Gallo conosce la lezione del Maestro e non esagera mai trattenendo il gigantesco tumulto interiore, esasperando la sua solitudine in un mondo sordido e stupido e la sua è una recitazione a bassa voce, come va fatta, di sguardi e di silenzi. Scalera ha una parte più che sanguigna, di “mostro”, ed è giusto che squaderni il cinismo ma anche la pena di una finta vincitrice che forse alla fine spande le sue lacrime per un riscatto incerto ma possibile. Alla fine, fossimo stati a teatro, sarebbero stati lunghi applausi.