Le altre nomine delle partecipate dallo Stato, ancora una cinquantina circa con relativi consigli di amministrazione e prima fra tutte Ferrovie dello stato. La road map sul nodo balneari che la prossima settimana, entro il 20 aprile, vedrà lo showdown con la sentenza della Corte di giustizia europea.

Ma anche la politica estera: che fare ad esempio con il “suggerimento” di Washington di chiudere i rubinetti all’accordo commerciale Italia-Cina (Via della seta, 2019) recapitato al ministro Giorgetti? E arrivato, per l’appunto, mentre Macron ha teorizzato la dottrina dell’ “autonomia strategica” e di una terza via per la Ue tra Usa e Cina. Per non parlare dell’immigrazione: stiamo salvando tutti – come è giusto che sia – e abbiamo rimesso in mare anche le navi della Marina Militare e però questo è esattamente il contrario della dottrina Salvini. E anche di Meloni prima di bruciarsi l’anima con la tragedia di Cutro.

La battaglia sugli emendamenti leghisti al decreto Cutro incardinato al Senato schierano ancora una volta la Lega contro Fratelli d’Italia. È come se Salvini avesse deciso di recuperare consensi restituendo a Meloni e a Fratelli d’Italia la sorte che è toccata a lui dal 2018 a oggi quando la Lega è stata più o meno sempre al governo mentre Meloni e Fdi sparavano a pallettoni contro tutto e tutti sfruttando il “privilegio” di essere l’unica opposizione.

Chi pensava, sperava, che le nomine delle big five partecipate dallo Stato fossero l’atto finale per la svolta nella gestione del governo Meloni, così come chi pensava che l’allineamento di Forza Italia al governo (il ritorno di Barelli, l’uscita di scena di Cattaneo e il dimezzamento di Ronzulli) fosse il requiem per Salvini e la cosiddetta opposizione interna, deve fare i conti con una realtà del tutto diversa. La partita è ben lungi dall’essersi conclusa. Anzi, è appena cominciata. E il doppio test all’interno della maggioranza per misurare il potere (per qualcuno degli alleati lo strapotere) di Giorgia Meloni e la stabilità della maggioranza è tuttora in corso.

La nomina dei vertici di Eni, Enel, Leonardo, Terna e Poste non è andata esattamente come voleva la premier che ha “perso” la partita su Enel (Scaroni e Cattaneo sono stati subìti da Fratelli d’Italia), ha dovuto ingoiare la sconfitta su Terna (fuori il pupillo Donnarumma) e ora rischia di perdere anche quella su Ferrovie. Il colosso della mobilità sui binari (Rete Ferroviaria Italiana, Rfi) che macina fatturati da record, destinatario da solo di 24 miliardi del Pnrr e molti altri ne potrebbero arrivare con la revisione del Piano, è da sempre considerato un’esclusiva di Matteo Salvini.

Il ministro delle Infrastrutture vanta una sorta di ius primae noctis sui vertici di un’azienda con cui il suo ministero interagisce ogni giorno. Non potrebbe quindi minimamente sopportare l’idea che il pupillo della premier, Stefano Donnarumma, ex ad di Terna, “blindato” a Enel e invece rimasto al momento a mani vuote proprio per i veti di Salvini, venisse nominato alla guida di Ferrovie. A Rfi si deve essere scatenato l’inferno. Si assiste ad un gran da fare per smentire che “Donnarumma diventi ad di Rfi”. Come se Salvini avesse già garantito in questi sei mesi che lì andrà un suo uomo. Ad esempio Roberto Tomasi, attuale ad di Autostrade per l’Italia (Aspi) che attraverso la ex Salini, oggi We Build è anche principale contractor del Ponte sullo Stretto. Tomasi è anche molto vicino a Denis Verdini, suocero di Salvini.

Al tempo stesso però ambienti molto vicini alla premier hanno rassicurato il contrario: Donnarumma sarà l’uomo di Meloni in Ferrovie. Ieri il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, che per Meloni ha seguito da gennaio tutte le fasi della trattativa sulle nomine, ha spiegato che Donnarumma sarà nominato ad di “Cdp Capital Venture. Incarico di grande prestigio e responsabilità”. Nella stessa intervista Fazzolari ha spiegato tutte le rivalità raccontate in questa settimane sono “frutto di interpretazioni giornalistiche” e che “l’unico metodo usato è quello della condivisione” in nome della “grande serietà del governo”. Il problema è che se fosse come dice lui, non ci sarebbero da settimane spin ai giornali di tutt’altro segno.

Si vedrà. La nomina di Rfi richiede ancora qualche settimana. E in questo lasso di tempo ci sono altri indicatori del braccio di ferro Meloni-Salvini. Fonti leghiste si stanno convincendo che “il fatto che Meloni abbia mollato su Enel e Donnarumma dimostri che per lei la luna di miele nel paese è finita”. Sbagliato, ad esempio, pensare che il maremoto in Forza Italia – malattia di Berlusconi, ritorno in campo di Gianni Letta, cambio ai vertici dei gruppi – sia da leggere come un handicap per Salvini. Al contrario, anzi, l’opposizione interna nella maggioranza si sarebbe “rafforzata”. Per che Tajani e Barelli saranno anche filogovernativi ma prima di tutto sono convinti della centralità di Forza Italia in questa maggioranza. “Senza di noi non vanno da nessuna parte, al governo e in Europa”.

Con questa lente vanno lette alcune recenti mosse. Il nodo balneari, ad esempio. Entro giovedì la Corte di Giustizia europea dovrà decidere se l’Italia è o meno allineata alle direttive europee che ci chiedono da tempo di liberare il macro delle concessioni demaniali. Come è noto il governo Draghi è caduto anche perchè stava chiudendo questa partita facendo partire le gare da gennaio 2024. L’arrivo del governo Meloni – che in campagna elettorale aveva promesso di stracciare quella riforma – ha bloccato tutto. Nonostante una inequivocabile sentenza del Consiglio di Stato che ha vietato ogni ulteriore deroga.

Quello dei balneari è un punto sensibile per la premier. E Lega e Forza Italia hanno pensato bene di ricordaglielo. Due giorni fa, con una nota congiunta, Gasparri, Bergamini (entrambi Forza Italia) e Centinaio (Lega) hanno ricordato al governo di fare presto e di trovare una soluzione nella mappatura, comprensiva degli investimenti fatti negli anni, delle stesse concessioni.

«Considerata la rilevanza economica e turistica del settore delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali, nel quale operano centinaia di migliaia di imprese che stanno molto a cuore ai nostri partiti – hanno scritto in una nota congiunta – è necessario accelerare la mappatura delle concessioni demaniali e anche i criteri tecnici per la determinazione della sussistenza della risorsa naturale disponibile (gli investimenti fatti in questi anni). Proprio da questi risultati – aggiungono – emergerà la risoluzione del problema, dimostrando che lo spazio per l’ingresso di nuovi soggetti non comporterà la necessità di mettere in discussione le concessioni già in essere». Il sottinteso è: Meloni non ci pensa perché bloccata da sentenze e vincoli europei, noi invece abbiamo la soluzione. Sarà, quello dei balneari, il braccio di ferro dei prossimi giorni.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.